Pian Due Torri è una proprietà fondiaria, dislocata entro l’omonima ansa del Tevere, appartenuta dal 1565 alle confraternite romane del Gonfalone e del Sancta Sanctorum.
Le confraternite conducono la tenuta a pascolo, seminativo e maggese fino al 1839. Dal 1870 monsignor Angelo Bianchi unificando la proprietà di pianura con la collina retrostante, introducendo l’uso vignarolo. Nel 1923 l’ingegnere Michelangelo Bonelli inizia la bonifica idraulica e avvia orticultura e frutticoltura. La Grande alluvione del 1937 mette fine al sogno agrario di Bonelli. Si costruisce la prima casa, e un nucleo di altre nel 1948. Nel 1949 il Ministero dei Lavori Pubblici autorizza la costruzione intensiva, disciplinata dal Piano regolatore del 1954 e dalla Variante del 1962. Da allora la vicenda della Tenuta finisce e inizia quella di un nuovo quartiere: la Magliana Nuova.
Lentulo Lentuli, scapolo impenitente
La studiosa Carla Benocci ha ricostruito i passaggi di proprietà della Tenuta Due Torri, riportando alla luce un vivace quadro di vita rinascimentale. Il primo padrone conosciuto è tale Carlo Boccabella, nominato nel testamento di Mariano Castellani (1526). Questi lascia la proprietà, composta “di prato e grotticella”, alla moglie Bernardina Rustici, che a sua volta designa come erede Lentulo Lentuli (1538).
Lentulo è scapolo e, a quanto pare, per nulla desideroso di formare una famiglia. Per ricondurlo a costumi più tradizionali la Vedova Bernardina aggiunge nel testamento, in punto di morte, una pesantissima condicione (1544): l’obbligo per Lentulo di sposarsi e di avere una discendenza legittima; in caso contrario la tenuta sarebbe passata alle pie arciconfraternite romane del Gonfalone e del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum.
Divenuto erede, Lentulo si applica nell’adempiere alle volontà della defunta, sposando Donna Gerolama De Nigris, e dimostra anche una certa accortezza nella conduzione della tenuta: prima ne estende i confini comprando il “prato al Casale dei Doi torri” da Pietro Paolo Fabi (1545) e poi compra anche un vicino poderetto (1554). Nel 1556 Lentulo vende la tenuta a Bernardino Capodiferro, e questa è l’ultima sua notizia.
Dalla spartizione ereditaria, che si concluse l’11 marzo 1565, deduciamo che Lentulo Lentuli non ebbe figli ma diede vita ad un florido fondo suburbano (“con certo prato volgarmente detto Prato Rotondo, canneto di sei pezze e vigna di sei pezze con casa, vasca e tino”). La tenuta venne divisa in tre quote di proprietà indivisa: una alla Confraternita del Gonfalone, una alla Confraternita del Salvatore e una alla Vedova Gerolama. L’acquirente Capodiferro fu escluso (la vendita venne probabilmente annullata o riscattata), anche se un nome vagamente assonante (Guastaferri) ricorre tempo dopo come proprietario nella mappa catastale di Francesco Calamo del 1660, che cita: “Casale detto Li Doi Torri, proprietà delle Arciconfraternite […] e dei signori Fabrizio Guastaferri e Costantino Gigli, proveniente dall’heredità della quondam Bernardina Rustici de’ Castellani”.
Le compagnie ecclesiastiche del Gonfalone e del Sancta sanctorum gestiscono ininterrottamente Pian Due torri dal 1565 al 1839.
Esse hanno antiche origini e godono di grande considerazione. Il Gonfalone nasce nel 1246 come congregazione di flagellanti, custodi della reliquia del “Salus populi Romani”; la tradizione vuole che nel 1351 abbiano salvato Roma dalla tirannide dei Savelli schierando il popolo sotto le insegne (il “gonfalone”) di Maria. L’arciconfraternita del Santissimo Salvatore conserva l’altra sacra icona del “Santo volto di Gesù”, dal 1381 al Sancta Sanctorum del Laterano.
Intanto, al lascito di Bernardina si aggiungono altri donativi: Francesco di Pietro da Saluzzo lascia nel 1570 una “vigna con certo poco di canneto di pezze 4, posta in loco detto le Doi Torri”, e la devota Cecilia Bovara si fa carico nel 1583 di “rimondare il fosso maestro” e costruire un “ponticello a traverso della strada”. La mole di atti ritrovati dalla studiosa Benocci negli archivi del S.S. testimonia un’amministrazione agraria efficiente. Le “taxae” per le strade datano 1554, 1555, 1602 e 1604, e nel 1634 c’è una apposizione dei termini. La taxa del 1693 riporta che il “Piano delle Due Torri, prato spettante a Sancta Sanctorum, Gonfalone e signori Gesiglieri” misura 36 rubbie e paga 5,67 scudi. Nello stesso documento si citano i “vicini” dell’epoca: le monache di Santa Cecilia, il Capitolo di S. Pietro, le famiglie Mattei, Serlupi, Nobili, Cenci, Fabi, Ginetti, Raggi e Vipereschi. Mappe successive nominano Filippo Chigi.
Nel Settecento la tenuta è invasa dalle acque e funestata dalle febbri malariche. La devastante inondazione del 1813, stimata dall’agrimensore Pietro Sardi, segna l’inesorabile declino.
Dopo il lungo sonno, la tenuta di Pian Due torri si risveglia nel 1818. Con acquisizioni successive fino al 1839 la confraternita del Sancta sanctorum, una delle due confraternite proprietarie, rileva le quote indivise dell’altra confraternita, la confraternita del Gonfalone, e di altri proprietari minori, fino a costituire la proprietà unitaria “Tenuta di Pian due Torri, tutta in piano”, coltivata a rotazione tra seminativo e maggese.
Nel 1839, unificata la Tenuta Pian Due torri, il Sancta sanctorum non ha in mente un vero e proprio progetto agrario. Semplicemente, ha inteso unificare la prorietà per poter più facilmente riuscire a venderla e fare cassa con una proprietà fondaria fino ad allora praticamente improduttiva. E la vendita avviene, al conte Filippo Cini di Pianzano. Non molto dopo la proprietà passa in successione al figlio, finché nel 1870 essa viene rivenduta a monsignor Angelo Bianchi, esponente della nobile casata locale. Il monsignore è considerato il primo pioniere moderno della tenuta.
Il Monsignore tenta l’unificazione della piana con la sovrastante collina di S. Passera, con motivazioni assai semplici: differenti quote altimetriche tengono al riparo dai capricci del fiume e permettono di variegare le colture. Le stesse intuizioni, mezzo secolo dopo, saranno alla base dell’opera dell’agronomo Michelangelo Bonelli.
La studiosa Benocci ha ricostruito le acquisizioni fondiarie di Angelo Bianchi: i primi acquisti di “terreni e casali ad uso vignarolo” datano 1870, in comproprietà con Salvatore, figlio del capostipite Luigi Bianchi; alla morte di Salvatore, nel 1885, la sua quota passa al figlioletto Luigi (con lo stesso nome del nonno); quando anche monsignor Angelo muore, nel 1897, il giovane Luigi eredita la quota dello zio, e si ritrova unico proprietario di un latifondo da 72 ettari.
Luigi rimane proprietario fino al 1912, anno in cui la proprietà si frammenta nuovamente, fra parte di piana e parte di monte.
Nel 1923 la famiglia Bianchi vende la Piana Due torri ad un eccentrico senatore piemontese, l’ingegnere agronomo Michele Angelo Bonelli.
Bonelli sceglie quella piaga acquitrinosa - acquisita al prezzo conenientissimo di 20-25 centesimi ad ettaro quadro, ma totalmente inadatta all’agricoltura! - con il preciso intento di dimostrare la teoria della coltivazione razionale, una teoria da lui stesso elaborata e formalizzata in un voluminoso tomo in due volumi. La teoria afferma che le terre incoltivabili non esistono: anche la piaga più desolata, sapientemente diretta da un agronomo e con l’uso dell’ingegneria idraulica e con appropriati concimi, può diventare produttiva, rivelandosi economicamente più conveniente di un terreno già messo a coltivo. Bonelli dunque si imbarca in questo sogno. E per fare di Pian Due torri un giardino ha bisogno di molta, moltissima forza lavoro. Il reclutamento avviene tramite la società anonima GIT, Gestione Immobili Torino, costituita nello stesso anno dallo stesso Ingegnere.
Testimone dell’epopea agraria di Bonelli alla Magliana è il signor Tullio, uno dei suoi primi mezzadri, la cui vita è stata raccolta in una lunga intervista nel 1978 da sociologi dell’Università La Sapienza.
Tullio arriva alla Magliana il 26 gennaio 1926. È un ragazzino di 15 anni ed è da poco rimasto orfano. Alla Magliana lo attende suo zio, anche lui mezzadro nella Tenuta di Bonelli. Alla Magliana ci sono già 7 o 8 famiglie mezzadrili.
«Nella pianura, dalla ferrovia al fiume, c’è solo prato», racconta Tullio. Al centro, più o meno all’altezza dell’attuale via Pescaglia, c’è una vaccheria, impiantata a suo tempo da Monsignor Bianchi. Il primo intervento di Bonelli è sciogliere la vaccheria, e frazionare la pianura in 7-8 terreni, affidando ciascuno a una famiglia di mezzadri. Sulla riva del fiume, all’altezza di via Pian Due Torri, fa installare una grande pompa idraulica che estrae acqua dal Tevere, al ritmo di un metro cubo al secondo. In seguito si aggiungono altre tre pompe, dislocate in punti diversi. «Di giorno l’acqua va nei vasconi - spiega Tullio - mentre di notte serve ad irrigare i prati».
I primi tempi sono tutt’altro che facili. «È una zona infetta di zanzare. Appena arrivato mi becco la malaria e sono ricoverato al Policlinico per ben quattro mesi».
Le condizioni di lavoro sono dure. «Per vangare il terreno si prendono 8 lire al giorno. Oltre alla metà del raccolto, dobbiamo pagare l’acqua e la forza motrice per le pompe. Bonelli ci fa anche pagare il concime, che fa prendere al Mattatoio e sul quale si prende un buon beneficio». I ritmi sono serrati. «Non abbiamo orari: lavoriamo 10, 12 ore. Dobbiamo lavorare a turno, anche di notte per via dell’acqua. Per quanto lavoriamo, abbiamo sempre debiti verso il padrone».
L’entusiasmo del primo raccolto - carciofi in coltivazione estensiva: «All’inizio coltiviamo i carciofi. È pieno di carciofi!» - cede il posto alla desolazione della alluvione del 1929. Il Tevere straripa, e inonda tutta la piana. Si ricomincia da capo: né Bonelli né i mezzadri hanno intenzione di cedere.
«La vita si fa ancora più dura. Si sta male», racconta Tullio. Bonelli è un padrone severo: temuto, stimato, senza sconti. Le sue idee progressiste, ma solo in fatto di coltivazione, sono talora guardate con diffidenza. Ad esempio Bonelli non vuole animali nella sua tenuta: coltivazione e allevamento sono due arti distinte. «Tentiamo di tutto per guadagnare di più», prosegue Tullio. «Malgrado tutto questo lavoro non riusciamo a cancellare i nostri debiti verso l’Ingegnere». Bonelli è costretto allora a cedere qualcosa. Concede alle famiglie mezzadrili di ricavare un piccolo extra, allevando dei maiali per conto proprio. Si arriva a 300 o 400 maiali per famiglia. «Ogni mezzadro per nutrirli va a prendere i resti del magiare della caserma del Genio: sono maiali tirati su a pastasciutta!».
Tre anni dopo, quando la vita sembra ripresa e si inizia a differenziare le colture, arriva il duro colpo della seconda alluvione. Tullio racconta un aneddoto: «Quando c’è l’alluvione le bestie per metterle al sicuro, le facciamo salire sopra al monte. Mi ricordo bene che un mezzadro di nome Mezzalira non fa in tempo a mettere i maialetti in salvo, e se li porta al secondo piano, nella sua camera da letto. Come dei figli, insomma!». Nel 1929 la piana rimane a lungo sott’acqua. «Via della Magliana, che è 2 metri più bassa di quella attuale, è un fiume. Ci si va in barca. Ci sono andato io!».
E la piana, come promesso da Bonelli, con la scienza, la tecnica e la tenacia del lavoro, si trasforma in un giardino, in cui sono presente coltivo, frutteto e vigna. «Nel 1935 piantiamo un frutteto. Nella zona chiamata Recupero, vicino via Vaiano, ci sono viti da vino. Si raccolgono ogni anno cento botti di dieci quintali di vino. Si raccoglie anche uva da tavola, nella zona dell’incrocio tra via dell’Impruneta e via della Magliana. Dalla parte di via Pian Due Torri e sul monte invece ci sono prugne e pesche. Da via della Magliana alla ferrovia si coltivano gli ortaggi».
Mentre l’acquitrino Pian Due torri sotto l’opera dei mezzadri di Bonelli si trasforma in un giardino, i progetti del Governatorato di Roma vanno in tutt’altra direzione.
Urbanisti e intellettuali stanno infatti pianificando la costruzione della Terza Roma, la Roma del Fascio littorio, caratterizzata dall’espansione verso il mare: con un nucleo terminale a Ostia, un nucleo mediano alle Tre Fontane dove sorgerà il nuovo quartiere espositivo, e tutto quello che sta in mezzo, in questa «freccia» scagliata fra Roma e il mare, da urbanizzare senza lasciare vuoti in mezzo. La tenuta di Bonelli alle Due Torri, orgogliosa nelle sue battaglie contro le intemperie del fiume, si trova in una posizione di grande intralcio.
L’idea della «freccia verso il mare» viene lanciata a metà anni Venti, con una serie di opere pioniere: la Ferrovia del Lido, la Via del mare, il Porto fluviale, l’Idroscalo di Ostia, seguite dai progetti di Snodo merci di Ponte Galeria, Rettificazione del Tevere a Mezzocammino e Idroaeroscalo della Magliana. Il primo disegno urbanistico complessivo compare nel Progetto-documento per l’Esposizione del 1942 di Vittorio Cini, chiamato con una sigla E42. Cini propone di realizzare «nuclei urbani senza soluzioni di continuità tra vecchio e nuovo», nelle aree lasciate libere dall’ultimo Piano regolatore del 1931. Mussolini stesso ne approva il progetto il 14 febbraio 1937. A Pian Due Torri sono previsti un Ponte monumentale e una Grande Circonvallazione ferrotranviaria.
L’aneddoto vuole che Michelangelo Bonelli, subodorato che la costruzione di un ponte fosse l’avamposto di un’urbanizzazione, si sia opposto sdegnosamente al progetto di Cini, rifiutandosi di vendere la Tenuta Due Torri per qualsiasi cifra. Ma anche al Governatorato non si fanno molte illusioni: urbanizzare la Magliana significa affrontare enormi costi di arginatura, di reinterro per le parti più basse e l’avvio di una bonifica sanitaria generale. Insomma: Bonelli non vuole, ma il Governatorato non chiede.
In quei giorni di ammiccamenti tra amministratori civici e l’Ingegnere arriva improvvisa una nuova alluvione, la grande alluvione del 1937, che colpisce l’intera città. «La volta precedente - racconta il mezzadro Tullio - la nostra zona era invasa dalle acque e su Roma c’era sole. Stavolta anche San Pietro è pieno d’acqua, che arriva ad un metro sopra l’Occhialone di Ponte Sisto. A Ponte di ferro il Mulino Biondi è allagato. Vicino a piazza della Radio, dove all’epoca di sono solo campi, c’è un negozio di tabacchi: il negoziante non fa in tempo a salvare nulla. Io ho visto francobolli che galleggiavano sull’acqua».
Quella del 1937 sarà l’ultima alluvione della Magliana. Ma questo né i mezzadri né Bonelli possono saperlo. Un senso di precarietà mette fine agli entusiasmi, in Tenuta Due Torri, e si fa largo l’idea che urbanizzare la Nuova Magliana non sia poi il peggiore dei mali. Bonelli tenta però ancora un colpo di coda. Nel 1938 trasforma la sua società anonima, la GIT Gestione Immobili Torino, in una società in nome collettivo, cercando di coinvolgere nuovi soci. L’iniziativa non ha successo, anche perché è ormai chiaro che lo zelo bonificatore di Bonelli non gode che di simpatie di facciata, presso il Regime. Bonelli da parte sua, è un liberale di vecchio stampo: ha condiviso la riforma fondiaria di Mussolini, ma le sue aderenze al fascismo terminano qui.
Nel 1940 scoppia la guerra - calamità su calamità! -, e i mezzadri lasciano il lavoro nei campi diretti al fronte. L’esperienza della tenuta, privata della forza lavoro e dello slancio iniziale, è ormai al capolinea. Nel 1941 Bonelli si arrende, e abdica nella gestione della tenuta in favore del genero Adriano Tournon, discendente di Camille De Tournon (prefetto di Napoleone dal 1809 al 1814, considerato il primo urbanista della Roma moderna).
È ancora il mezzadro Tullio a raccontare le vicende familiari dell’Ingegnere: «Il Conte Tournon sposa una delle due figlie di Bonelli, anzi non il celebre Conte ma suo figlio. Bonelli è un amico dei potenti: la seconda figlia la sposa ad un principe del Kenia. Il Conte Tournon costruisce la prima casa, in via Pescaglia, nel luogo dove prima c’era la vaccheria e dove poi si installerà la prima parrocchia. Le altre case iniziano a costruirle nel 1948, nella zona dove c’è la farmacia, in via della Magliana».
E Bonelli si ritira dalla pianura alla collina, nella sua Villa Bonelli. «Dopo la guerra io ho visto Einaudi, il Presidente della Repubblica, De Gasperi e Frassati, un miliardario che veniva a giocare a bocce da Bonelli. È da quell’epoca che l’ingegnere ha cominciato a lottizzare e a vendere». Alla morte di Bonelli il Conte Tournon eredita la tenuta. «È a lui che si deve la distruzione degli alberi e la lottizzazione», conclude amareggiato Tullio.
Di urbanizzare la Tenuta Pian Due torri si comincia a parlare concretamente solo nel Dopoguerra, sotto la spinta del genero di Bonelli, il conte Adriano Tournon. Tournon intende procedere alla valorizzazione fondiaria dei terreni agricoli: vuole cioè renderli edificabili e procedere alla vendita frazionata ai costruttori.
Un carteggio del 1949 tra gli uffici tecnici del Comune di Roma e quelli del Ministero dei Lavori Pubblici (studiato negli anni Settanta dal Comitato di quartiere Magliana) ne documenta i passaggi preliminari.
Nella prima lettera il Comune interpella il Ministero per conoscere se la Tenuta Due torri si trovi dentro o fuori i confini del Piano regolatore. La differenza è sostanziale: nel primo caso i costi di urbanizzazione (fogne, strade e servizi) ricadono sul Comune; nel secondo sui costruttori.
In tutta evidenza la Tenuta si trova fuori dal Piano del 1931. Tuttavia la risposta ministeriale è affermativa: “In relazione alla nota suindicata […] la zona indicata nella unita planimetria con tratteggio color turchino, sebbene non sia colorata con i simboli delle destinazioni edilizie, deve ritenersi compresa entro il perimetro del vigente Piano Regolatore”. La costruzione della Nuova Magliana può dunque iniziare.
Il primo piano regolatore della Magliana Nuova è approvato il 10 aprile 1954 e rimane in vigore per 8 anni, fino al 1962.
L’iter comincia il 24 gennaio 1950, con la presentazione al Ministero dei Lavori Pubblici di una variante di zona al Piano regolatore generale del 1931. Il documento, chiamato Piano particolareggiato n. 123, prevede standard intensivi, con caseggiati alti 8 piani. La risposta ministeriale è favorevole (si legge: “è rispondente alle esigenze di un’organica composizione di un nuovo quartiere”), seppur condizionata da pesanti prescrizioni.
La principale di esse è il cosiddetto reinterro. Si stabilisce cioè che, per prevenire gli allagamenti, nessun edificio dovrà sorgere sotto l’Argine fluviale. L’argine diventa così la quota zero dell’intero piano regolatore, e tutto quanto si trova al di sotto deve essere ricoperto (reinterrato) con materiali di risulta. Si tratta della più vasta previsione di movimento-terra mai contenuta in un piano regolatore: basti pensare che la quota del suolo è in alcuni punti anche 7 metri più bassa dell’argine.
Il Comune, elaborando le prescrizioni, presenta il nuovo piano 123 bis, in cui accetta anche la riduzione dell’altezza massima dei caseggiati da 8 a 7 piani, “onde non sia preclusa la vista della retrostante zona collinare”. Nel 54 il piano è approvato. Tuttavia esso viene ignorato dai costruttori, che trovano più conveniente investire in altre aree senza obbligo di reinterro. Fino al 1962, anno del Nuovo Piano regolatore generale, non viene rilasciata alla Magliana alcuna licenza edilizia.