Ponte Galeria è la settima zona urbanistica del Municipio XI.
È la più estesa (da sola è grande come le altre sei zone messe insieme), periferica e prossima al mare, al punto che cinque sue porzioni sono costituite in frazioni: Ponte Galeria Paese, Monte Stallonara, Spallette, Piana del Sole e Fontignani. La presenza umana è attestata sin dal Paleolitico, ma è con l’insediamento etrusco, e poi romano, lungo il fiume Careia, che inizia l’insediamento storico. Nell’VIII sec. Papa Adriano vi edifica una «domus culta», sorta di masseria fortificata. L’edificazione moderna inizia sotto il fascismo, con la bonifica, lo snodo ferroviario e le prime industrie. L’area conta oggi circa 7000 abitanti. Nuove edificazioni sono in corso nell’area della Fiera di Roma.
Il Megaceronte di Ponte Galeria
Nel 1986 gli studiosi Petronio e Capasso pubblicano un saggio sulla fauna di Ponte Galeria nel Pleistocene medio-inferiore, cioè quella fase del mondo preistorico che precede l’affermazione dell’Homo sapiens. Il testo prende spunto dai ritrovamenti della Cava Alibrandi, ma è l’occasione per fare il punto sulle 7 species antiquae fin lì documentate, habitat e clima.
Tra le specie il Megàceros savini è certamente la più singolare. Si tratta di un cervo gigante, alto più di 2 metri al garrese. Il palco di corna presenta due ramificazioni, in ciascuna delle quali vi sono 5 o 6 pugnali più un primo pugnale anteriore, appiattito, a forma di paletta. Il Megaceros condivideva le selve, senza entrare in competizione, con un altro cervide, di piccola taglia, chiamato Dama nestii eurygonos, antenato dell’odierno daino.
Oltre al Megaceros erano presenti altri giganti: l’Uro (Bos primigenius), un bovide progenitore degli attuali buoi domestici, l’Elephas antiquus, antenato dell’elefante asiatico, l’Hippopotamus, antenato dell’ippopotamo di fiume, e l’Equus altidens, sorta di equide arcaico molto più vicino all’asino che al cavallo domestico. Singolare è la diffusione dell’Emys orbicularis, una specie di tartaruga palustre ancora oggi vivente.
La conclusione dei due studiosi è che “il daino, l’ippopotamo, l’elefante, il megaceros e il bue potrebbero indicare un clima temperato-caldo, con foreste ed abbondanti corsi d’acqua, con frequenti specchi lacustri più o meno collegati al mare”. Inoltre “l’equide indica anche l’esistenza di praterie con carattere di steppe, che costituivano radure alternate alle foreste”. Infine “la tartaruga palustre consente di pensare alla vicinanza di uno specchio d’acqua con correnti assenti o deboli”. Della presenza di un lago-stagno tra Roma e il mare, vi è del resto testimonianza anche in epoca storica.
Da: Carmelo Petronio e Lucia Capasso-Barbato, Nuovi resti di mammiferi del Pleistocene medio-inferiore di Ponte Galeria, in Bollettino Italiano di Geologia, pp. 157 e segg. Un’aggiunta del 1987, a cura del professor Petronio, riporta il ritrovamento di una mandibila di rinoceronte.
Una presenza antica
In questo quadrante, la presenza umana è antichissima, attestata già dal Paleolitico.
Gli Etruschi controllano la Careia, il corso d’acqua da cui deriva il nome attuale di Galeria, e i Romani vi lasciano presenze considerevoli: strade, ponti, acquedotti, necropoli.
La Domusculta di Papa Adriano
Nell’VIII sec. Papa Adriano I vi edifica, al XII miglio della Via Portuense, la sua domus culta, cioè una masseria fortificata («posita in Via Portuense, miliario ab urbe Roma plus aut minus duodecimo, cum fundis et casalibus, vineis acquimolis et lecticaria qui vocatur Asprula»).
La domus culta viene trasformata da Gregorio IV in un castello, oggi perduto.
A ridosso dell’Anno Mille il Vico Galera è l’ultimo villaggio abitato prima del nulla, come testimonia la bolla di Benedetto VIII del 1018 («cum… sylvis atque pantanis, cum ponte et ipsum vicum qui vocatur Galera»).
1718, un delitto «quasi» perfetto
Il Diario della Confraternita degli Agonizzanti riporta un terribile episodio di cronaca nera, avvenuto nell’anno 1718 nella Tenuta di Ponte Galera, e la terribile punizione che ne seguì. Ne sono protagonisti il bracciante Carlo Antonio Anastasio, trentenne originario di Terni (l’assassino), che lavora nella tenuta di cui è affittuario il Macellaro Menicuccio (la vittima), di professione buttero e macellatore di carni in via della Pace, a Roma.
Questa la nuda cronaca: «Saputo che il buttero possedeva denari, [Carlo Antonio Anastasio] gli disse se per quella sera gli voleva dare alloggio. Il buon uomo gliel’accordò. Nel meglio del sonno con un bastone gli diede in testa. [Menicuccio] destatosi disse: “Che mi fai amico?”. Pure non desisté, anzi gliene replicò due altre, sino che l’uccise. Cercò delli denari e non trovò che 15 pavoli, li quali presi scappò». Dopo l’efferata rapina dell’omicida si perdono le tracce e «per molti mesi non si seppe dove fosse capitato».
Il delitto perfetto però non esiste, nemmeno nei tempi lontani, e a distanza di tempo l’assassino commette l’errore fatale di ritornare a lavorare, come bracciante agricolo, in una campagna vicina. Il Diario degli Agonizzanti riporta la conclusione della vicenda, e la terribile punizione che colpì l’omicida. Anastasio viene riconosciuto e, avvertito il bagello, viene catturato.
L’accusato nega pervicacemente e i gendarmi papalini lo sottopongono alla tortura «della corda». La corda è una un supplizio in uso fino a tutto il Settecento, che si infligge agli imputati per estorcerne rapide confessioni: consiste nel legare le mani dell’imputato dietro la schiena con una corda, e quindi appenderlo al soffitto per mezzo di una carrucola. La pubblica accusa lo interroga, chiedendogli di ammettere le proprie colpe, e, ad ogni risposta giudicata menzognera, l’imputato viene lasciato cadere giù di botto. C’è un vero e proprio gergo che individuava i diversi tipi di cadute: «tratto, squasso, scossa o saccata». Riferisce il Diario degli Agonizzanti che queste torture hanno subito effetto: «Datagli la corda, confessò e ratificò immediatamente».
La punizione, come accennavamo, fu terribile e avvenne in forma esemplare a Ponte Sant’Angelo. Il malfattore fu impiccato e, da morto, fu anche «squartato»: il suo corpo venne cioè spaccato in quattro quarti, proprio come una qualsiasi bestia macellata nella Tenuta di Ponte Galera.
Ponte Galeria dal fascismo ad oggi
L’edificazione moderna inizia sotto il fascismo, con l’insediamento del grande snodo ferroviario e delle prime industrie, portando con sé la bonifica fondiaria. La denominazione ufficiale dell’area circostante è allora quella di Agro Portuense, per la sua vocazione essenzialmente rurale.
In tempi più recenti vi si insediano i complessi della Città dei Ragazzi, della Regione Lazio e, da ultima, l’edificazione estensiva della Nuova Fiera di Roma.
L’area ricade, dal punto di vista ecclesiastico, sotto la Diocesi di Porto e Santa Rufine. Il luogo di culto principale è la chiesa parrocchiale di Santa Maria di Ponte Galeria.
Ponte Galeria è oggi la settima zona urbanistica del Municipio XI. La più estesa (da sola è grande come le altre sei zone urbanistiche sommate insieme), periferica e prossima al mare. I confini sono il GRA ad est, il Tevere a sud, L’Autostrada per Civitavecchia a ovest e l’asse viario della Pisana a nord. Un dato comunale del dicembre 2009 riporta che a Ponte Galeria risiedono 6905 abitanti. Il dato però non tiene conto delle nuove edificazioni.
Le quattro frazioni
Nel territorio di Ponte Galeria ricadono cinque frazioni, o meglio, quattro sole frazioni, se si esclude dal novero la frazione di «Ponte Galeria Paese» (che coincide con l’abitato urbano di Ponte Galeria), che è ormai una piccola città. Sulla strada le frazioni sono segnalate con cartelli rettangolari bianchi con iscrizione nera di inizio e fine località. Il segnale di fine località è barrato di rosso.
La frazione «Pisana» - che più spesso è indicata col nome di «Monte Stallonara», per non confonderla con le altre edificazioni che sorgono lungo via della Pisana - si trova sul lato sinistro di via della Pisana dopo il bivio di via di Monte Stallonara. La frazione ha sole cinque strade, i cui nomi rievocano comuni della Sardegna: Baressa, Gesico, Muravera, Nurachi e Samugheo.
La frazione «Spallette» è una zona di edilizia spontanea, classificata dai tecnici comunali con il nome di «Zona O n. 65». Precede l’abitato di Ponte Galeria di un paio di chilometri, sulla destra della Via Portuense. Anche le strade di Spallette rievocano nei nomi dei comuni della Sardegna: Ardara, Arzana, Bono, Gavoi, Illorai, Irgoli, Isili, Mara, Muros, Narcao, Nulvi, Nurri, Orani, Selegas, Senorbì e Siligo. Su via Senorbi la Soprintendenza segnala due siti archeologici in corso di studio: un tratto di strada di Epoca arcaica, e una vicina struttura della stessa epoca, la cui funzione non è ancora stata identificata.
La frazione «Piana del Sole» è anch’essa una zona di edilizia non pianificata, classificata dai tecnici con il nome di «Piano di zona B40». È l’ultima propaggine del Municipio XI e sorge nella piana alluvionale a ridosso del confine con il Comune di Fiumicino, tra l’Autostrada per Civitavecchia, l’Autostrada per Fiumicino e via della Muratella. È Il territorio circostante è per 272 ettari costituito in area naturale protetta e fa parte della Riserva naturale statale del Litorale Romano.
«Fontignani» è l’ultima delle frazioni comunali. La particolarità è che sorge a cavallo di via della Pisana (che a sua volta segna il confine tra il Municipio XI e il Municipio XII, a est del grande incrocio di via di Malagrotta con via di Ponte Galeria. La frazione si trova quindi per metà nella zona di Ponte Galeria (XLI) e per metà nella zona di Castel di Guido (XLV).
Nell’area di Ponte Galeria esistono dei siti archeologici in corso di studio e scavo da parte della Sovrintendenza: la Strada glareata, il Sito arcaico di Ponte Galeria, il Magazzino delle anfore, la Villa romana di Castel Malnome. Nonappena la sovrintendenza avrà pubblicato i dati sui siti ve ne daremo conto.