Cave romane, Purfina, Drugstore è un termine convenzionale che descrive una fitta sequenza di interventi umani (antropizzazioni) sulla collina di Pozzo Pantaleo.
La collina domina un crocevia naturale, tra la direttrice per il mare (Via Portuense-Campana) e la rotta interna verso il Tevere (torrente Tiradiavoli). Le fasi principali di insediamento sono: cava di tufo (Epoca repubblicana), necropoli portuense (I-IV sec. d.C.), abitato altomedievale, una lunga fase di frequentazioni sporadiche, Stabilimento Purfina (a cavallo tra le due guerre) e infine Drugstore (1966). Quest’ultima fase è caratterizzata dalla problematica incorporazione dei resti necropolari in una moderna struttura commerciale, inizialmente aperta 24 ore su 24. Nel 2011 sono stati separati gli spazi dei morti dagli spazi dei vivi; il sito sembra così aver trovato pace.
La cava di tufo
Le cava di tufo è attestata sin dall’Epoca repubblicana.
Vi si estrae un tipo particolare di roccia, chiamato tufo rosso lionato, estremamente friabile e ricco di venature, impossibile da tagliare in grandi blocchi e per questo lavorato soprattutto in scaglie e polveri allo stato di pozzolana. La cava ha l’aspetto di una latomìa (una cava a cielo aperto, in cui gli sbancamenti a gradoni procedono a partire dalla sommità, creando una sorta di cavea). È presente probabilmente anche un traforo di gallerie, ma oggi ne rimangono porzioni minime: un grottone presso via Bianchi (utilizzato oggi come cantina) e parte di una galleria a piano inclinato presso il Drugstore.
Del grottone è contenuta una descrizione nella Guida dell’Agro Romano dell’agrimensore Eschinardi (1750): «A destra si può entrare in una gran grotta, o spelonca, la quale era anticamente un ergastolo da tenervi schiavi». L’Eschinardi fa riferimento alla miserevole condizione delle maestranze della cava, costituite da uomini in schiavitù a seguito di reati: di giorno costretti al lavoro durissimo di cavatori di pietre, in catene e marchiati a fuoco; di notte reclusi nel grottone per evitarne la fuga. Al Museo Nazionale Romano sono conservati dei collari in ferro, ritrovati in zona, i quali riportano con poche varianti la triste medesima epigrafe: «Se fuggo bastonami e riportami al padrone».
La galleria a piano inclinato misura in origine circa 200 metri e congiunge la cavea con la sottostante Via Portuensis. La galleria (che in alcuni testi è indicata anche con il nome di pozzo obliquo) è probabilmente percorsa da una rampa per il trasporto dei pesanti materiali, e sfrutta la pendenza per ridurne il peso attraverso la forza di gravità. La galleria non è documentata che nella sua parte iniziale (a causa dell’edificazione del condominio sovrastante) e nella parte finale (che esce dove oggi si trova il Drugstore, tra la piccola Tomba C e il grande Colombario).
La Necropoli Portuense
A metà del I sec. d.C., con l’apertura al traffico carrabile del nuovo ramo della Via Campana, che proprio sotto la collina di via Belluzzo si distacca dal vecchio tracciato, il fianco della collina si rende disponibile per l’uso cimiteriale. Vengono realizzate dapprima stanze ipogee e semiipogee scavate direttamente nel tufo, per poi arrivare ad un utilizzo estensivo del terreno, che soppianta progressivamente la cava.
Ad oggi gli studiosi sono soliti dividere la necropoli in quattro settori: I settore (via di Pozzo Pantaleo, Necropoli di Pozzo Pantaleo); II settore (via Belluzzo, ~ del Drugstore); III settore (via Ravizza, ~ di via Ravizza); IV settore (via Bianchi, ~ di Vigna Pia).
Il I settore viene individuato nel 1947, quando, in occasione di alcuni sbancamenti seguiti alla parziale dismissione della fabbrica Purfina a ridosso della ferrovia, emergono cinque stele funerarie appartenute a guardie scelte di Nerone (Cippi dei Germani) e viene segnalato un settore cimiteriale con fosse e recinti per la deposizione di anfore cinerarie. Segue, nel 1951 il ritrovamento di due interi sepolcri: la tomba affrescata dei Campi elisi e la tomba decorata in stucco dei Geni danzanti. Entrambe sono intagliate dal tufo e trasportate al Museo Nazionale Romano, insieme ai cippi dei Germani.
Gli scavi sistematici su questo settore iniziano nel 1983 e continuano, a più riprese, fino al 1998. Da essi emergono un edificio funerario a doppia camera (1989, indagato sommariamente), un’intera fila di tombe (Tombe Portuensi, 1996) e un mausoleo circolare (Pozzo Pantaleo, 1998), forse identificabile con la cappellina medievale di San Pantaleo. Nel 2010, a seguito di nuovi ritrovamenti in occasione della realizzazione di un nuovo sottopasso ferroviario, inizia una nuova campagna di scavi: di essi sarà possibile riferire a breve. Nello stesso anno vengono svolti anche dei sondaggi preventivi sulla vicina via della Magliana Antica: da essa non emergono ritrovamenti e nell’area vengono realizzati un parco giochi e un parcheggio interrato.
Il II settore, contiguo al I, viene individuato nel 1966, durante l’edificazione del complesso condominiale di via Belluzzo. Emergono altre cinque tombe, chiamate ciascuna con una lettera dell’alfabeto, in ordine di ritrovamento: Tomba A (Tomba di Ambrosia), B (~ delle lesene), C (~ bianca), D (Colombario Portuense) ed E (~ della Vaschetta). Nella maggiore di esse, il Colombario, è stato rinvenuto un sarcofago in marmo (Sarcofago di Selene), trasportato al Museo Nazionale Romano. La sistemazione delle cinque tombe avviene nel 1982.
In quello stesso anno viene riconosciuto come parte della Necropoli Portuense anche un III settore, posto a 400 metri di distanza dai primi due, su via Ravizza, dal quale emergono due tombe: la tomba 1 (~ dell’airone), e la tomba 2 (~ di Epinico e Primitiva).
Un IV settore infine viene individuato nel 2000, sul versante opposto della collina rispetto ai primi due settori, presso via Bianchi durante la costruzione di un parcheggio interrato. Da esso emergono due nuclei di edifici funerari: un colombario ad uso collettivo ed un sepolcro familiare, detto Tomba di Atilia. La sistemazione dell’area si conclude nel 2006.
L’abitato altomedievale
L’utilizzo della necropoli cessa repentinamente, dall’oggi al domani, nel terzo decennio del III sec. d.C., probabilmente a seguito di una grande alluvione: intense e prolungate piogge devono aver provocato un esteso smottamento di argille dalle colline di Monteverde, accompagnato dallo straripamento del Tevere. Il risultato è stato il deposito sopra la necropoli di uno spesso bancone che ha reso impraticabili le aree a ridosso della Via Portuense e ha segnato la fine dell’utilizzo necropolare.
Questa informazione è stata acquisita nel 1982, grazie ad uno studio stratigrafico del terreno nell’area tra la Tomba C e l’ingresso della galleria a piano inclinato. Lo strato superiore del terreno esaminato si compone di uno spesso strato di argille delle Colline di Monteverde, tipologia di terreno estranea all’area ed importata qui dalla grande alluvione. Al di sotto di questo strato si trova un terreno di epoca precedente, relativo alla fase di attività della necropoli, datato a partire dalla metà del I sec. (terreno di colore scuro ricchissimo di cocciame e altri frammenti ceramici). Al di sotto vi è uno strato ancora più antico, privo di frammenti ma ricco di detriti tufacei: è questo il terreno relativo alla fase di utilizzo come cava in Epoca Repubblicana.
Perduta la funzione di necropoli l’area continua a vivere come postazione commerciale lungo la Via Portuense, sul lato della collina che guarda all’attuale via Quirino Majorana. Peraltro le funzioni commerciali e pubbliche dell’area non sono successive alla necropoli, ma convivono con essa già dal I secolo d.C.
Le variegate testimonianze del vissuto dell’area sono indagate a partire dal 1983, e consistono in un tratto di strada basolata (Tratto di Via Campana #1), un edificio termale (Terme di Pozzo Pantaleo) e un edificio identificato come una probabile stazione di sosta (Mansio di Pozzo Pantaleo).
Una successiva campagna di scavi inizia nel 1998 e permette di attestare con certezza la frequentazione fino ad oltre il IV sec. d.C., in periodo paleocristiano, e di ipotizzare una frequentazione anche successiva, già altomedievale.
Di sicuro l’area è nuovamente abitata nell’anno 1130, quando risulta appartenere, secondo documenti d’archivio della chiesa di Santa Prassede, ad un tale di nome Pantaleo. Il Catalogo di Torino vi riporta anche la presenza della piccola chiesa di San Pantaleo fuori Porta Portese. Di questa chiesina, a parte il nome, non si conosce altro.
Nella mappa di Eufrosino della Volpaia del 1547 la chiesina giù non compare più, ma l’immaginetta di un fontanile e di un tabernacolo della buona via (di quelli che ancora oggi, nei paesi, accompagnano i visitatori ad ogni bivio) lascia intendere che una certa frequentazione vi fosse ancora. Probabilmente in questo periodo cessa di esservi un abitato stabile, e si ha un popolamento sparso nelle campagne.
Frequentazioni sporadiche
Le tombe portuensi continuano ad essere conosciute e visitate di tanto in tanto da curiosi, uomini di scienza e illustri viaggiatori. Lo studioso Nibby riporta che tra essi vi fu anche lo scultore Gianlorenzo Bernini, in cerca di ispirazione. Il Bernini rimane impressionato dalla ricchezza delle antiche tombe, che, al punto che riporta Nibby, le volle «imitare ne’ frontistizj del portico di San Pietro».
Si tratta probabilmente di un’esagerazione, ma sappiamo che il Nibby, visitando a sua volta i sepolcri portuensi nel 1827, ne rimane anch’egli impressionatissimo e così li descrive: «Sepolcri nobilissimi, adorni di stucchi e pitture, ed uno tra gli altri [...] con alcune urne dentro, nelle quali era significato il nome del padrone che le fece fare». Nelle parole del Nibby sembra di poter riconoscere la Tomba dei Geni Danzanti (stucchi), quella dei Campi elisi (pitture) e infine il Colombario Portuense (nomi graffiti).
Alla fine dello stesso secolo visita approfonditamente la zona un altro illustre visitatore, l’archeologo Lanciani. Egli vi documenta una notevole quantità di materiali, ancora presenti sul luogo: cippi, lastre marmoree con iscrizioni, sarcofagi, frammenti di sculture, mosaici e suppellettili funebri. Lanciani inoltre riconosce i manufatti civili per lo scolo delle acque piovane verso il fosso di Pozzo Pantaleo.
Lo Stabilimento Purfina
Nel Novecento nell’area si insedia lo stabilimento Purfina, sul quale non sono disponibili approfondite informazioni.
Un aneddoto popolare vuole che la torre principale della fabbrica poggi le fondazioni sul pozzo, appartenente all’originaria struttura della cava, dalla struttura a piano inclinato esteso per oltre 200 metri. Probabilmente i costruttori dello stabilimento scelsero non a caso di posizionare le fondamenta della struttura più imponente della fabbrica nel punto più profondo della latomia, recuperando il cono del pozzo.
Il Drugstore
A seguito della dismissione dello stabilimento Purfina viene costruito, nel 1966, l’edificio civile noto con il nome popolare di Drugstore, localizzato tra la Via Portuense, via Belluzzo e il terrapieno della ferrovia.
Costruito con un parziale sbancamento della collina, lo stabile ingloba negli scantinati i resti di cinque ambienti funerari della Necropoli Portuense. Gli ambienti vengono seriamente danneggiati in fase di costruzione: e quando la Soprintendenza interviene non può fare più nulla per impedire lo scempio.
Gli ambienti funerari rimangono chiusi al pubblico fino al 1982, quando i piani inferiori, fino ad allora adibiti a cantine e garages, vengono trasformati in locali commerciali aperti al pubblico. La Soprintendenza ne segue la trasformazione con una campagna di studi, imponendo ai proprietari la realizzazione di vetrate di protezione ed infine disponendo il trasporto al Museo Nazionale Romano dei materiali più preziosi.
A lavori conclusi viene aperto al pubblico il Drugstore Museum, con ingresso dal civico 313 della Portuense. Le tombe romane si presentano in quell’anno circondate dalle affollate scansie di un supermercato all’americana, nel quale è possibile acquistare ogni genere di prodotto, 24 ore su 24. Questa struttura commerciale, che ha il nome di Drugstore, ha finito per diventare il nome popolare dell’intero complesso e sopravvive anche oggi che il supermercato all’americana non esiste più.
Tuttavia la convivenza tra le funzioni commerciali (il c.d. mondo dei vivi) e la necropoli romana (mondo dei morti) si rivela da subito un esperimento infelice: la necropoli, specie nelle ore notturne e nella stagione fredda, finisce per diventare un bivacco per senza fissa dimora. Spesso il Drugstore finisce sui giornali per episodi di degrado e qualche volta persino di violenza e criminalità. Dopo anni di difficoltà la struttura viene chiusa.
Segue un delicato intervento di ristruttuazione, ispirato al criterio di separare lo spazio dei vivi dallo spazio dei morti. La zona commerciale viene resa del tutto autonoma, mediante la costruzione di muri (oggi il supermercato è stato sostituito da uno store di elettronica e da un’agenzia di turismo), mentre la zona archeologica, il cui ingresso è ora spostato al civico 317, ospita uffici della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. La struttura, ribattezzata Drugstore Gallery, dispone di spazi per attività culturali aperti al pubblico.
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– Pentola e coperchietto di -, ceramiche Ø cm 12 e 8 (+12)
Il Drugstore, monografia pp. 4 di A. Di Mario - M. Giovagnoli - A. Anappo, in Biblioteca (Sala 2) inv. 449 /B
Vedi anche:
Tomba dei Campi Elis…
Colombario Portuense
Tomba di Petronia
Tomba dei Geni danza…
Tomba della Vaschett…
Grottoni
Cave romane di via Portuense e via Belluzzo a Vigna Pia (foto di Antonello Anappo, altre 70 immagini nel Fondo fotografico)
scheda inventariale
Inventario
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