Il Memoriale ai Caduti di Pietra Papa è un monumento a ricordo della strage brigatista del 14 febbraio 1987, in cui morirono gli agenti Lanari e Scravaglieri.
Il 14 febbraio 1987 la volante n. 43 della Polizia di Stato scorta un furgone portavalori delle Poste Italiane. Dopo il rifornimento all’ufficio di via Sereni un comando BR blocca il convoglio e apre il fuoco - uccidendo il capopattuglia Rolando Lanari (26 anni), l’autista Giuseppe Scravaglieri (23) e riducendo in fin di vita il gregario Pasquale Parente (29) -, riportando un bottino di 1.150.000.000 di lire. A distanza di tre mesi gli agenti sono insigniti con la medaglia d’oro al Valor civile. Nel decennale viene edificato il monumento, composto di una piazzola aperta in un terrapieno. La lapide monitrice recita: «In questo luogo due agenti PS sono stati uccisi con fredda ferocia, mentre adempivano al loro dovere».
La strage di Pietra Papa
La giornata del furgone portavalori delle Poste Italiane in servizio nel quadrante sud-ovest inizia molto presto, quel sabato 14 febbraio 1987: ore 7,30 uscita dal caveau centrale di piazza San Silvestro, ore 8 approvvigionamento alle poste dell’Eur, ore alle 8,30 ufficio postale di via Sereni. Nell’ufficio del quartiere Marconi vengono scaricate banconote per mezzo miliardo di lire, ma nel furgone c’è ancora una cifra considerevole.
A scortare il mezzo blindato con dentro tre addetti delle Poste c’è la volante numero 43 della Polizia di Stato, una Giulietta con a bordo gli agenti Rolando Lanari (capopattuglia, 26 anni), Giuseppe Scravaglieri (autista, 23) e Pasquale Parente (gregario, 29), tutti appartenenti al VI gruppo, Reparto Volanti.
Dopo la tappa in via Sereni il piccolo convoglio riparte e imbocca via dei Prati dei Papa: il furgone precede, la volante segue, come da prassi. Via dei Prati di Papa è una strada stretta e a parziale senso unico, percorribile solo a passo d’uomo, che termina con una ripida salita che immette su via Borghesano Lucchese, che a sua volta è una piccola via di raccordo con viale Marconi. Sula via transitano davvero in pochi. Ci sono degli anziani, probabilmente diretti o appena usciti dalle Poste. Un aneddoto popolare riferisce di un uomo misterioso, che mostrando una paletta di quelle in dotazione agli agenti, invita sbrigativamente i pochi presenti ad andarsene: «Allontanatevi da qui, siamo agenti di Polizia, fra poco ci sarà una sparatoria». Tre minuti dopo, il comando armato entra in azione.
Secondo la ricostruzione più accreditata il comando è composto di 8 uomini (ma si parla anche di 10 o 12 elementi), divisi in due corpi operativi: il gruppo di fuoco (4 persone, con il compito di uccidere) e il gruppo di fiancheggiamento (4 persone, con il compito di prelevare il contante). Mentre il furgone postale imbocca la salita una renault 14 risultata rubata gli taglia la strada, obbligando il mezzo ad una brusca fermata, tanto che la volante lo tampona con violenza.
Compaiono all’improvviso, ai lati della Giulietta, a piedi, i quattro uomini del gruppo di fuoco, che sparano sugli agenti, neutralizzandoli come si dice in gergo malavitoso.
Le armi impiegate sono almeno quattro: due pistole, un fucile a pompa e una mitraglietta skorpion della Ceaka Zbrojovka, da cui partono 56 colpi calibro 9. Il capopattuglia Rolando Lanari, sul sedile di destra, muore sul colpo, mentre si appresta a lanciare l’allarme dal microfono ricetrasmittente. I colpi dei killer colpiscono anche Giuseppe Scravaglieri, l’autista, che perde i sensi accasciandosi sul volante. Il terzo agente, Pasquale Parente, sul sedile posteriore, apre lo sportello e tenta la risposta armata. Riesce appena ad uscire e a mettere mano alla fondina che i killer lo colpiscono al torace, alle gambe, al braccio. Un proiettile gli perfora un polmone: l’agente si accascia a terra. Nel frattempo un uomo e una donna del gruppo di fiancheggiamento, a viso coperto da passamontagna, penetrano nel furgone portavalori e prelevano, con lucida calma, denari per un miliardo e 150 milioni di lire.
In quel momento un’incauta signora abitante in un palazzo vicino, la Signora Clara, si affaccia alla finestra per osservare la scena. Il comando le rivolge contro una raffica di mitraglietta skorpion. La Signora Clara rimane ferita in maniera lieve da alcune schegge. Negli attimi successivi la stradina è avvolta dal silenzio, spezzato solo dall’agonia del gregario Parente.
Arrivano i soccorritori, mentre scatta la caccia all’uomo. I killer hanno studiato il piano in ogni dettaglio: si saprà in seguito che i killer raggiungono l’ospedale San Camillo, dove abbandonano auto e vestiti e si dileguano poi nel nulla. Alle 10 giunge una telefonata di rivendicazione alla redazione bolognese del quotidiano La Repubblica: «Brigate Rosse, Partito Comunista Combattente», dice una voce anonima. La dinamica risulta subito chiara: il PCC è una costola del movimento eversivo delle BR storiche, e il modus operandi è quello della rapina di autofinanziamento, già tristemente noto. Neutralizzare la scorta, portare via il bottino, e con questo compiere nuove azioni sanguinarie.
Sul posto i sanitari non possono fare altro che constatare la morte del capopattuglia Lanari. Scravaglieri e Parente sono gravissimi: in una corsa disperata vengono trasportati entrambi al Padiglione Morgagni III del San Camillo. Scravaglieri muore pochi minuti dopo il ricovero. Per Parente inizia lo strazio: va in emorragia quattro volte, viene sottoposto ad altrettante trasfusioni. I chirurghi del professor Baldini gli estraggono la pallottola dal polmone e, uno a uno, dal corpo altri cinque proiettili.
La Medaglia d’Oro
All’indomani della strage La Repubblica descrive con viva commozione l’indignazione e il cordoglio dei Romani. Grazie a quel nitido racconto conosciamo oggi i profili umani dei tre ragazzi della volante 43.
Si tratta di biografie normali e simili, che la Questura in un breve dispaccio sintetizza così: «in divisa a diciott’anni, molto motivati, innamorati del loro mestiere». Il capopattuglia Rolando Lanari (26 anni, nato a Massa Martana, Perugia) è un agente «svelto, preparato, sempre sul chi vive», in servizio alle volanti da 4 anni. È «uno che il servizio di scorta lo fa con la mano sulla pistola, che si guarda continuamente intorno». Vive a Centocelle, con il padre anziano e malato. Frequenta il bar, è tifoso del Milan, ha da poco comprato un impianto stereofonico con il lettore compact disc. È fidanzato con un’addetta delle Poste ai furgoni portavalori, conosciuta durante il servizio. La voce popolare riporta che Lanari avesse in animo di lasciare le scorte e avesse fatto domanda di assunzione all’Alitalia. L’autista Giuseppe Scravaglieri (nato a Catena Nuova, Enna) non ha ancora compiuto 24 anni: ha lasciato il paese rurale d’origine «per trovare un pezzo di pane» (così racconta il padre Sebastiano, intervistato) e tale è la passione per il Corpo che dopo cinque anni di servizio dorme ancora in branda alla Caserma Guido Reni e ha tralasciato di crearsi una famiglia e una casa per conto suo.
Ai funerali degli agenti, che si svolgono con rito di Stato a San Lorenzo al Verano, partecipano sotto la pioggia battente cinquemila cittadini, fianco a fianco agli uomini in uniforme e alle autorità. Celebra il cardinal vicario Ugo Poletti, che nell’omelia dice: «Il terrorismo per mano delle Brigate Rosse è tornato a colpire a Roma con ferocia e superbia, come il serpe velenoso morde nei luoghi più imprevedibili. Sono state colpite le Istituzioni pubbliche, l’onesto popolo italiano e ciascuno di noi». All’ospedale San Camillo intanto Pasquale Parente combatte per la vita. Ha 29 anni, è sposato, ha un bambino di 10 mesi. Repubblica riporta la rabbia dei colleghi in visita all’ospedale: «Maledetti assassini, carogne, bisognerebbe ammazzarli tutti!»; «È la fine che può toccare a tutti noi. Ogni giorno quando esci non sai se la sera tornerai a casa o no».
A distanza di tre mesi, il 16 maggio 1987, i tre agenti sono insigniti al Valor civile, dall’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga: Medaglia d’Argento per Parente; Medaglia d’Oro, alla memoria, per Lanari e Scravaglieri.
Il monumento
Pochi giorni dopo la strage vengono collocate sul tratto in salita di via dei Prati dei Papa due piccole fotoincisioni su marmo, raffiguranti gli agenti caduti, probabilmente per mano dei familiari o dei colleghi, che spesso visitano quel luogo in raccoglimento.
Alle onorificenze al Valor civile, nel maggio 1987, segue una vasta mobilitazione affinché il lutto privato diventasse memoria collettiva e ammonimento per le future generazioni.
Il monumento attuale viene realizzato nel decennale della strage (14 febbraio 1997). Si compone di una piazzola aperta di piccole dimensioni, a forma di mezza luna, scavata in un terrapieno sistemato a verde. Sulla parete è posta una lapide monitrice, che ricorda i nomi dei Caduti e la terribile vicenda: «In questo luogo […] due agenti della Polizia di Stato / fedeli alla Repubblica e alla democrazia / sono stati uccisi con fredda ferocia / mentre adempivano al loro dovere. / Il Comune e la Questura di Roma / i familiari, il personale del Reparto Volanti / i cittadini del quartiere / e il personale delle Poste e Telegrafi / posero».
Il monumento è sempre aperto al pubblico, ed ospita un piccolo spazio per il raccoglimento e la deposizione di fiori. Ogni anno, nella ricorrenza del 14 febbraio, vi si celebra una solenne commemorazione cui partecipano parenti e colleghi delle vittime; le autorità depongono corone. |
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I Caduti di Prati dei Papa, monografia pp. 8 di Antonello Anappo, in Biblioteca (Sala 2) inv. 337 /B
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Pietra Papa
Il Monumento agli agenti PS caduti in via dei Prati dei Papa il 14 febbraio 1987 (foto di Silvio Galeano, altre 11 immagini nel Fondo fotografico)
scheda inventariale
Inventario
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