La Rectaflex è una palazzina del 1949, sede della breve esperienza produttiva delle macchine fotografiche Rectaflex.
La compagine societaria si costituisce sul finire del 1946 - con amministratore Telemaco Corsi e stabilimenti provvisori nelle Officine SARA -, con lo scopo di produrre, partendo da brevetti dello stesso Corsi, la prima fotocamera italiana di tipo reflex, nei modelli Standard, 1000 e 2000. Nel 1948 un finanziamento della CISA di 300.000.000 di lire permette la costruzione della nuova palazzina di 4 piani, strutturata secondo i principi di Walter Gropius, con piani open-space e finestre a parete rivolte ad est.
Nella palazzina trovano posto 6 reparti (Fresatura; Tornitura; Montaggio; Accessori; Collaudo semilavorati; Collaudo finale), oltre all’attrezzeria, i servizi e la mensa. Nelle vecchie strutture SARA vengono alloggiati i 2 reparti meno puliti (Galvanica e Verniciatura) e i magazzini. La Direzione e gli uffici dei disegnatori rimangono nella palazzina centrale della SARA. La produzione in serie inizia nel gennaio 1949. Si produrranno i modelli 3000, 4000 Duo-focus, Junior (classe economica), 16.000, Rotor (a obiettivi graduabili), 25.000, 30.000 e vasi modelli Special. Per testare la Gold (la reflex d’oro) verrà in visita, nel 1952, Papa Pio XII.
In quel periodo la rivalità fra l’amministratore Corsi e il responsabile commerciale Baume segna una fase di crisi societaria, seguita dal fallimento dell’accordo con il Governo americano per la fornitura di 30.000 apparecchi fotografici e dalla successiva messa in liquidazione della fabbrica (1955). I nuovi proprietari, gli svizzeri della Contina, trasferiscono la produzione nel Principato del Liechtenstein: il modello 40.000, tuttavia, non vedrà mai la luce. Lo stabilimento romano, dopo una fase di abbadono, diventa negli anni Settanta Istituto tecnico Marconi ed è oggi sede del Centro polivalente di quartiere e della Biblioteca.
Dopo la Campionaria del 1948 si tiene una seduta straordinaria del Consiglio di amministrazione della Cisa Viscosa, in cui si decide l’avvio della produzione in serie e un investimento da capogiro - si dice di 300 milioni di lire - per la costruzione della nuova fabbrica Rectaflex, ampliando il preesistente Stabilimento Sara. Viene formalmente costituita la Rectaflex Srl, e nell’autunno 1948 viene posata la prima pietra di una palazzina di 4 piani, dagli ambienti luminosi e aperti, alla maniera di Walter Gropius. Degli aspetti propriamente architettonici della fabbrica avremo modo comunque di parlare diffusamente nel paragrafo dedicato.
Nel cantiere intanto arrivano i torni, le fresatrici, le presse, i pantografi, e tutte le altre attrezzature maccaniche necessarie. Il grosso delle assunzioni avviene nell’autunno 1948. Le maestranze vengono addestrate da tre capomontatori - Frajegari, Judicone e Assenza - e tra il personale vi sono numerose donne, impiegate nelle funzioni più minute. Le prime Rectaflex, prodotte ancora negli Stabilimenti Sara, vanno tutte all’estero. Il primo distributore è la Director Products Co. di New York. Si aggiunge poco dopo la Exclusivités Télos di Parigi, di Henry Tieman, per la Francia. Varie intese commerciali portano inoltre la Rectaflex in Svizzera, Sudamerica, Australia e Sudafrica. Il Progresso fotografico, con i suoi redazionali, dà conto puntuale della biografia ufficiale Rectaflex. Nel numero dell’ottobre 1948 scrive: «La Rectaflex è in vendita solo all’estero per il momento, e in Italia son pochi i fortunati che sono già in possesso della macchina». Si tratta di una politica commerciale abbastanza bizzarra, perché la Rectaflex faticherà in seguito non poco ad affermarsi in Italia. Ma, ricorda i detto, in pchi sono profeti in patria.
È questo per Corsi forse il periodo migliore della sua vita: respira aria di fabbrica notte e giorno, senza mai rinunciare a sperimentare personalmente, perfezionare, inseguire gli standard tecnici della Leitz o della Zeiss, che considera l’ideale di perfezione da raggiungere e superare. Corsi impone ogni giorno variazioni tecniche e modifiche, che rallentano la produzione e fanno crescere notevolmente i costi di produzione: sa giustificarli alla Proprietà Cisa Viscosa, consapevole di avere tra le mani un prodotto fuori dall’ordinario. Corsi segue personalmente il servizio di Dopovendita: studia ciascuna macchina che torna in fabbrica, per studiarne le debolezze. Le rectaflex a dire il vero sono delicatissime, e si rompono con facilità. Corsi è estremamente severo, e se una macchina non supera il collaudo finale viene sostituita con una macchina nuova. Il Dopovendita costituisce da subito un serio problema, perché la previsione iniziale che le riparazioni sugli apparecchi possano essere effettuate da fotoriparatori locali, si rivela non corretta, per la complessità e la diversità di costruzione della Rectaflex rispetto alle macchine tradizionali.
Con l’inverno si avvia la produzione seriale vera e propria, e si abbandona la produzione semiartigianale della Standard 947, Al suo posto si inaugura un nuovo modello, Serie 1000, il cui nome deriva dal numero di matricola, che parte dal numero 1001. Esteriormente la 1000 mantiene il design di Giò Ponti per la Standard 947. Il gruppo del corpo, ricavato in pressofusione di alluminio anodizzato, è composto di quattro parti: il corpo macchina, il castello (che contiene prisma e specchio), il piano frontale (con l’imboccatura dell’ottica) ed il dorso. Le ottiche sono intercambiabili, ed è persino possibile montare il flash Vacu-blitz a bulbi ad incandescenza. Il meccanismo che controlla i tempi lenti è in una versione migliorata.
La nuova fabbrica intanto viene tirata su a tempo di record. Nel gennaio 1949 il sindaco, Salvatore Rebecchini, è presente all’inaugurazione. Immancabile, il giornalista del Progresso fotografico segue tutto in prima fila e racconta: «La cerimonia fu semplice e rapida e si concluse con un discorso del Sindaco». Sono gli anni della ripresa economica, del boom. Nel suo discorso il primo cittadino rievoca la trasformazione della borgata Trullo, da zona acquitrinosa a distretto industriale d’eccellenza, che porta con sé case e benessere.
«Ma io petulante - scrive il giornalista - chiesi di poter visitare lo stabilimento con più tranquillità. Quando mi venne mostrato il castello della Rectaflex, io non ebbi bisogno di spiegazioni per sapere che questa è l’ultimo grido delle pressofusioni, e la più esatta. Così entrando nel salone delle macchine utensili ebbi un grido di ammirazione, scorgendone oltre centoventi. Come si fa a non costruire bene i duecento pezzi che compongono la Rectaflex con quella attrezzatura? Sarebbe più difficile costruirli male che bene! E i controlli? non finiscono più. Ogni pezzo viene controllato con implacabile pignoleria durante il montaggio, tanto che i controlli finali, che sono i più severi, diventano forse inutili. Quindi, la Rectaflex costruisce in serie circa cinquanta macchine al giorno, occupando quattrocento persone, ma il controllo è singolo, accurato, esasperante per ogni apparecchio. Organizziamo tutta la nostra industria con simili metodi e i nostri prodotti non temeranno confronti». Il giornalista esagera probabilmente nei numeri, ma l’atmosfera di entusiastica fiducia nel futuro è reale.
Si avvia intanto la produzione in serie di un nuovo modello, la Duemila. La nuova macchina non nasce da una programmazione industriale ma, per così dire, da un incidente di percorso.
Succede che i modelli 1000 manifestano dei problemi meccanici, e una a una le macchine vengono rispedite ai rivenditori, e di lì tornano al Trullo per l’assistenza. I rivenditori lamentano mancanze nelle tendine e nei leveraggi del ritardatore: in pratica nei tempi di posa lunghi, dal 1/10 di secondo in poi, la Rectaflex non va. Dopo le prime verifiche Corsi individua la causa: i corpi di alluminio pressofuso prodotti dalla Fonderia Romana di Porta Portese sono soggetti a dilatazione termica: al variare della temperatura i componenti interni o sono compressi o ballano. Corsi adotta una decisione che gli fa onore: richiama in fabbrica tutte le macchine vendute, e ritira dai negozi le altre 1000 pronte sugli scaffali. L’avvocato non è disposto ad accettare che la sua macchina possa essere definita imperfetta. Fa eseguire delle rettifiche manuali a colpi di fresatrice, eliminando le tolleranze o interponendo lamelle di ottone. Il processo è lungo e costoso, senza contare che la Fonderia Romana ha già realizzato altre 2000 fusioni che giacciono abbandonate in magazzino. Prende così un’altra decisione coraggiosa: rimanda indietro alla fonderia i corpi in alluminio, e chiede di rifonderli di nuovo, a spese della Rectaflex, con un nuovo stampo che risolve il problema. Per distinguere vecchi stampi dai nuovi, si decide di dare alla macchina una forma diversa, con numeri di matricola dal 2128 in poi. Nasce così il nuovo modello Duemila.
Ma Corsi è inquieto. Intuisce che se gli incidenti non si trasformano in opportunità la Rectaflex non diventerà mai la macchina perfetta che vuole produrre. Decide così che il nuovo stampo dovrà anche far posto alle migliorie sperimentali elaborate nel frattempo, accogliendo all’interno il nuovo pentaprisma. Ideato da Corsi e Picchioni, il nuovo pentaprisma ha la seconda faccia a superficie convessa e una lente ingrandente incollata sull’ultima faccia. Il risultato è che sull’oculare si vede un’immagine più grande e luminosa. L’invenzione, portata all’Ufficio Brevetti nel febbraio 1949, si chiama Perfezionamenti nei dispositivi per la messa a fuoco e l’inquadratura. Nello stesso anno Corsi e Picchioni chiedono altri due brevetti: uno sul sistema di otturazione, con due tendine ad apertura fissa; un altro sul ritardatore dei tempi lenti, montato su platine anodizzate con oro 22 carati e rubini.
Intanto arriva puntuale la Campionaria di Milano, edizione XXVII, aprile 1949, in cui la Rectaflex espone la Duemila. La novità fieristica dell’anno è il ritorno sul mercato dei produttori tedeschi, anche loro sull’onda lunga del boom post-guerra. Sono ancora pochi, è vero, ma agguerriti e tecnologicamente rivoluzionari. Corsi osserva con rabbia la Contax S della Carl Zeiss di Dreda, che monta uno specchio riflettore e un prisma di rinvio, lo Spiegelreflexkamera, che in pratica è la versione tedesca della rectaflex. E c’è poi la svizzera Alpa Reflex, costosissima, dalla meccanica simile. Se gli svizzeri, vistosamente fuori mercato, non impensieriscono Corsi, la Zeiss è un competitore temibile. L’aneddoto vuole che Corsi, furibondo, abbia gridato al plagio. Ad inizio 1948 aveva infatti inviato a Carl Zeiss una decina di macchine Rectaflex per delle prove di tiraggio ottico. Ritrovare in fiera, tra gli stand concorrenti, una macchina sorprendentemente simile alla sua lo ferisce.
La fiera milanese di quell’anno, tuttavia, sorride a Corsi. I prezzi Rectaflex sono ritoccati al rialzo, e gli ordini fioccano ugualmente. Corsi può ancora beneficiare, rispetto al concorrente tedesco, di una produzione iniziata in anticipo, e persino di un certo pregiudizio dei compratori verso l’economia tedesca, su cui pesa ancora l’ombra sinistra del nazismo. In fiera intanto Corsi mette a segno anche un bel colpo sul mercato di Francia e Colonie, ottenendo l’abbinamento in vendita della sua macchina con il nuovo grandangolare Retrofocus 35 mm della Angénieux. Tra Corsi e Pierre Angénieux si instaura anche un rapporto di amicizia personale. Producono entrambi l’eccellenza, e in settori complementari: inevitabile il loro incontro.
Nell’autunno 1949 la Rectaflex replica il successo milanese a Torino, dove si tiene la Mostra Internazionale degli scambi con l’Occidente, più conosciuto come Salone della Tecnica. La Rectaflex annuncia l’apertura di un ufficio di rappresentanza a New York, sulla Fifth Avenue. Alla fine dell’anno, oltre alle basi negli Stati Uniti e in Francia, la Rectaflex vanta appoggi in Gran Bretagna (Phototecnic Equipment a Londra), Svizzera (Società Eshmann a Losanna), Olanda, Messico, Guatemala, Brasile, Uruguay, Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Congo Belga e Angola.
Succede così che tra le fiere di Milano, Torino e i rivenditori esteri tutte le Duemila trovano collocazione sul mercato e si rischia di rimanere a magazzini vuoti. Si inizia immediatamente a produrre in serie un nuovo modello, la 3000, peraltro identica alla Duemila sul piano della meccanica. La novità è tutta nel pentaprisma a due facce convesse (quella della base e quella posteriore), che migliora la luminosità e ingrandisce 2,5 volte l’originale. La Rectaflex si avvia a diventare la macchina perfetta.
Nel primo scorcio del 1950 l’Italia sorride, il Trullo lavora alacremente e Corsi è un vulcano di inventiva. L’avvocato dedica il 1950 al consolidamento della produzione e dello smercio. Affida all’ingegner Angelino Eleuteri, amico fidatissimo, il compito di riorganizzare i reparti di fabbricazione e montaggio. Eleuteri fa un eccellente lavoro. Corsi si concentra invece sul Laboratorio di ricerca, di cui è a capo, affiancato da Emilio Palamidessi e Alfredo Ferrari.
Il 9 marzo 1950, insieme a Giulio Fabricatore, Corsi ottiene il brevetto per la preselezione manuale, che supera i problemi della perdita di luminosità provocata dalla chiusura del diaframma. La Rectaflex ha infatti l’handicap di dover inquadrare e focheggiare con un obiettivo spesso molto chiuso, quindi poco luminoso. Il brevetto si chiama Perfezionamenti ai dispositivi per la diaframmatura. «La presente invenzione - si legge - permette di predisporre l’apertura del diaframma prima della presa, in modo che in seguito, anche avendo variato la diaframmatura, si ritorna alla diaframmautura predisposta».
Eppure Corsi dorme sonni agitati, crucciato dalla implacabile ascesa della concorrente tedesca Zeiss e della sua macchina reflex Contax. L’avversario è insidiosissimo: la sua produzione è per ora concentrata sul mercato tedesco; nonappena tutti i tedeschi avranno in casa una Contax le macchine della Zeiss cominceranno a dilagare all’estero. Corsi sa che la Contax è ancora inferiore sul piano tecnico: ad esempio lo specchio ha il ritorno manuale e dopo ogni scatto bisogna riarmare l’otturatore. Ma sa anche che non ci vorrà molto a che i concorrenti tedeschi progettino un meccanismo di ritorno automatico. Un aneddoto riferisce che nel suo ufficio a Monte delle capre Corsi ha un tavolo da lavoro in cui tiene personalmente sotto controllo la macchina tedesca, smontandola e rimontandola in ogni minuto dettaglio. Corsi è più che mai convinto che in questa guerra a distanza l’eccellenza e l’innovazione siano le uniche strade vincenti.
In quel periodo cominciano a arrivare sul tavolo di Corsi i primi rapporti di vendita negativi, soprattutto dall’Italia. La Rectaflex, sebbene sia l’unica prismatica sul mercato, è ancora molto più cara delle telemetriche tradizionali. Corsi affida ad un altro collaboratore, l’ingegner Marini, il compito di studiare una strategia commerciale. Viene stampato un opuscolo comparativo, nel quale spiega che il prezzo della Rectaflex è ragionevole. Una Rectaflex completa di ottica costa 110.000 lire: una telemetrica tedesca con ottica equivalente costa 140.000 lire.
Ma il vero problema è un altro. L’ingegner Marini ha un compito ingrato, di quelli che spesso toccano agli amici più cari. La Rectaflex, spiega l’ingegnere a Corsi, più che una fabbrica è un istituto scientifico. Il suo capo fa continue sperimentazioni e cambiamenti di rotta, alla minima segnalazione di un guasto. E questa meraviglia di scrupolo è economicamente disastrosa, tanto più che la macchina ha ormai raggiunto una affidabilità senza pari. Occorre, purtroppo, mettere un freno alla vis creativa del capo. Corsi viene convocato dalla Direzione della Cisa Viscosa. In un colloquio non facile gli viene detto chiaro e tondo che la produzione della 3000 è da ritenersi blindata, immodificabile, per lo meno finché la Cisa non sarà rientrata dell’investimento iniziale.
In cambio gli viene affidata una nuova serie sperimentale tutta per lui, prodotta in soli 500 esemplari, che prenderà il nome di 4000. Sulla 4000 Corsi può fare tutte le modifiche che vuole, ma Corsi, per piacere, lasci lavorare in pace l’ingegner Eleuteri nello stabilimento al Monte delle capre! non sarà rientrata dell'spiega che la produzione della 3000 La 4000 quindi non è un modello successivo alla 3000, ma piuttosto un modello parallelo, a commercializzazione ridotta: per dirla con il moderno linguaggio informatico la 3000 è la versione stabile, la 4000 è la versione beta della macchina che verrà. Corsi non capisce, ma si adegua alle disposizioni aziendali. Dimentica la 3000 e si lancia a capofitto nella 4000: cambia l’anello di innesto delle ottiche, gli ingranaggi delle tendide, i leveraggi dei tempi lenti, e testa uno speciale stigmometro su vetro smerigliato. Sulle confezioni della 4000 compare la scritta Duofocus, in ragione del binomio tra visione reflex e nuovo stigmometro.
Intanto, arriva l’appuntamento con la Campionaria milanese, edizione XXVIII, maggio 1950. Quell’anno i giapponesi della Canon tengono banco e incantano il pubblico. La Rectaflex espone la 4000 Duofocus, abbinabile con le ottiche della Filotecnica e Galileo e una miriade di accessori. Giunto in fiera Corsi assiste ad uno spettacolo che sembra uscito dal suo incubo peggiore. Le case produttrici tedesche hanno messo sul mercato decine di nuovi modelli, tutti con visione prismatica reflex. C’è la tedesca Kilar con la Tele-Kilar e la Tewe con la Teweflex; la Zeiss raddoppia e oltre la Contax propone ora anche la Contessa. Anche chi ha già una macchina tradizionale può passare al reflex: basta acquistare il prisma esterno della Exacta.
La romana Gamma, invece, rimane fedele al telemetro, e continua a produrre i suoi affidabili ed economici modelli. Il Progresso fotografico spende parole di elogio per la piccola grande fabbrica situata a 50 metri di distanza dalla Rectaflex: «La Gamma III è veramente perfetta e merita il successo che sta ottenendo. Il colmo è che è esportata perfino in Germania».
All’inizio del 1951, mentre si commercia la serie 4000, si decide di trovare una seconda vita per le macchine difettose nei tempi lenti della serie 1000, inutilizzate nei magazzini di via Monte delle Capre. Sono circa un migliaio. Nasce così la Serie Junior, una serie cadetta con i soli tempi veloci (fra 1/25 e 1/500 di secondo). Viene eliminato il ritardatore dei tempi lunghi e il foro viene coperto con un dischetto con la scala mnemonica delle sensibilità DIN/ASA.
Il vecchio prisma a facce piane non viene sostituito con quello a facce concave, per non gravare sui costi. Questa particolarità dà alla macchina cadetta un angolo di visione più ristretto ed anche una ridotta luminosità. Se una 4000 con ottica Angénieux costa 170.000 lire, una Junior con ottica Beta ne costa soltanto 65.000. La rectaflex per molti italiani diventa un sogno possibile. Ma alla Cisa Viscosa storcono il naso: l’operazione Junior non coprirà gli ingenti costi di riassemblaggio.
Intanto la Fiera campionaria del 1951, la numero XXIX, segna un fiasco commerciale per il Telcrom. Il Telecrom è un dispositivo esterno per la essa a fuoco, una sorta di evoluzione dello stigmometro. Si tratta di uno schermo esterno di messa a fuoco, da applicare sopra l’obiettivo. Consiste in uno schermo smerigliato diviso in due sezioni, una verde ed una rossa, separate da una striscia opaca. Accostando il congegno all’obiettivo, l’immagine del soggetto inquadrato rimane sdoppiata fino a che l’ottica non raggiunge la perfetta messa a fuoco. Il Telecrom, forse per la sua difficoltà d’uso, non incontra l’interesse dei rivenditori, la cui attenzione è attratta dalla 4000 che la Junior.
Esce il nuovo listino, il numero 7. I prezzi della macchina sono invariati, ma gli accessori hanno prezzi vistosamente ribassati. Intanto l’altra società del distretto di monte delle capre, la gamma, mette in commercio la Perla, una macchina economica e poco pretenziosa, con ottica fissa ed otturatore centrale. Sul prezzo non conosce rivali.
Due mesi dopo, a fine aprile, si tiene a Colonia la Seconda Photokina. La Rectaflex espone la 4000 in una versione dal design rinnovato, con una nuova forma dei corpi in alluminio. La meccanica interna è invariata, tuttavia il nuovo look entusiasma i rivenditori. Tornato a Roma, Corsi monta i nuovi corpi su tutte le macchine in produzione. Nasce così una nuova serie. Anche per ribadire il distacco con le precedenti la nuova serie prende il nome di 16000.
Nell’estate 1951 intanto Corsi ottiene il brevetto del Telcrom, denominato “Dispositivo per la verifica della messa a fuoco di una immagine, consistente in uno schermo comprendente una parte opaca intercettante i raggi luminosi diretti alla zona centrale dell’obiettivo mentre il resto dello schermo è diviso in almeno due parti, tutte trasparenti ma di colore differente l’uno dall’altra”. Non servirà purtroppo a molto.
È in questo periodo - tra la fine del 1951 e l’inizio del 1952 - che la Rectaflex raggiunge l’apice produttivo e qualitativo. La perfezione voluta da Corsi può dirsi ormai raggiunta. Tuttavia è proprio da qui che inizia la parabola discendente della Rectaflex. Nel settembre 1951 la Cisa Viscosa adotta una scelta drastica: allontanare Corsi dalla fabbrica al Trullo, creando per lui una gabbia dorata, un ufficio speciale chiamato Laboratorio sperimentale, in via Acqui, 9, proprio accanto alla casa di Corsi. Insieme a lui sono esiliati in via Acqui Emilio Palamidessi, che ha la carica di direttore del Laboratorio, e il fidato caporeparto di montaggio Michele Frajègari. Il suo posto al Monte delle capre viene preso dal giovane Roberto Germani, un tecnico entrato in fabbrica tre anni prima, dimostratosi di grande valore. La scelta di Germani si rivelerà assai positiva: la pianificazione produttiva di Germani porterà la Rectaflex a ridurre i costi di produzione.
Inoltre la Cisa Viscosa accentra gli uffici direttivi Rectaflex in via Sicilia, 162, dove ha sede l’intera holding Cisa Viscosa. La rectaflex srl intanto cambia ragione sociale e diviene società per azioni. Ma il colpo più duro per Corsi deve ancora arrivare. A metà del 1952 la Cisa Viscosa contatta Léon Baume, un abile finanziere di origine polacca, chiedendogli di affiancare Corsi nella cura e coordinamento dei rapporti commerciali della Rectaflex. Insieme a lui collaborano il dottor Fabbri e Aldo Falcone.
Corsi probabilmente non si rende conto che il comando della Rectaflex gli sta progressivamente venendo meno. Dal Laboratorio di via Acqui, nel giugno 1951 Corsi avvia una nuova serie sperimentale, che prenderà il nome di Preserie 20000. Insieme a lui ci sono validissimi collaboratori: gli ingegneri Franco Sigismondi e Giorgio Marini e il tecnico Angelo Antonelli. Con loro mette a punto un nuovo otturatore a tendina, con ingranaggi in alpacca, per consentire un maggiore scorrimento. Nel Laboratorio sperimentale Corsi dispone di nuovissime attrezzature elettroniche. Nei primi mesi del 1952, Corsi riesce a tarare l’otturatore fino ad una velocità incredibile: un duemilesimo di secondo. I concorrenti tedeschi della Zeiss sono ancora fermi alla velocità di un millesimo.
Nei primi mesi del 1952 la 20000 viene messa in produzione in serie, con il nome di Standard 20000, con tempi dichiarati ad 1/1300 di secondo. La 20000 è l’apparecchio 35 mm più veloce di tutti i tempi.
Nell’aprile 1952, sotto la direzione dell’ingegner Eleuteri, lo stabilimento Rectaflex può definirsi la fabbrica perfetta. Eleuteri comanda due strutture: Ufficio tecnico e Ufficio produzione. Il Tecnico ha il compito di trasformare le intuizioni di Corsi al Laboratorio sperimentale in tracciati di produzione. Lo dirige Pietro Raucci (aiutanti Ermanno Fenoglio e Alfredo Ferrari, disegnatori Angelo Fracomeno e Rolando Pinto). La Produzione si occupa delle commesse, dei tempi di lavorazione e della produzione in serie. Lo dirige Erminio Cappellani (aiutanti Dante Salvatori, Sergio Colachicci, Rolando Salvioni).
La Produzione è divisa in 8 reparti: 6 officine meccaniche e 2 controlli di qualità. Le officine sono: Progettazione, Fresatura ed attrezzeria (caporeparto Aldo Pini), Tornitura e aggiustaggio (Gaetano Judicone), Galvanica (Attilio Berardi), Montaggio (Roberto Germani), Verniciatura (Antonio Pietrini), Montature ed accessori. I controlli di qualità sono: Collaudo semilavorati (Renato Bonci) e Collaudo finale (ingegner Amedeo Cimino, aiutante Giulio Fabricatore).
Montaggio, Fresatura e Tornitura costituiscono il comparto Meccanica 1 (capocomparto Egeo Filippini). Meccanica 2 comprende le altre lavorazioni, più delicate. Questo comparto è dotato di macchinari per la rettifica, torni e trapani di precisione, fresatrici e macchine automatiche per le minuterie in acciaio inox.
La fabbrica (se si escludono i pentaprismi e i corpi in alluminio pressofuso) produce in autarchia tutti i suoi componenti. Il metallo è ricavato dalla fusione del materiale bellico; la pelletteria proviene dalla Sara.
Il ciclo inizia dal Reparto Galvanica, che vaglia i corpi in alluminio e i pentaprismi. La Fresatura effettua le forature e trasmette i corpi alla Verniciatura dove viene applicata a fuoco la vernice nera opaca. Dalla Verniciatura i corpi ritornano in Fresatura, dove i fori vengono imboccolati per le tendine e i ritardatori. Nel frattempo l’attrezzeria prepara le calottine e la Tornitura e la Galvanica preparano viteria e leveraggi. I corpi preparati finiscono al Montaggio, che fra i reparti è quello dalla struttura di maggior complessità.
Al Montaggio lavorano solo meccanici preparati per lavorazioni di meccanica fine (orologiai, ottici, strumentisti di precisione, tecnici dei pantografi). Dal Montaggio dipende il Precollaudio, in cui i fotoreporter Francesco Maesano e Antonio Tozzi provano le macchine (i negativi vengono allegati insieme alla garanzia). L’intero ciclo di montaggio risulta suddiviso in 36 passaggi. Ad ogni passaggio corrisponde una fila di banchi del grande salone luminoso al secondo piano, ad a capo di ogni fila vi è un montatore specializzato: se un operaio riscontra problemi in un passaggio passa la macchina al montatore esperto. Il ciclo richiede 40 ore per ogni macchina. Ad esse si aggiungono altre 8 ore per le fasi di collaudo, cui presiedono Cimino e Fabricatore.
Giulio Fabricatore è un insegnante di tecnica fotografica alla Scuola di Polizia. La voce popolare lo descrive come un personaggio misterioso: misantropo, austero, è sconosciuto di lui ogni particolare biografico. Ogni giorno, terminate le lezioni, si reca in Rectaflex dove ispeziona ogni macchina con diligenza da poliziotto. Si sa di lui che, terminata l’esperienza produttiva Rectaflex, continuò a lavorare a capo della società di distribuzione italiana della Polaroid.
Il professor Amedeo Cimino, ingegnere, insegna matematica. È una figura molto simile a Corsi: fantasioso, creativo. Tra i due esiste una sincera e lunga amicizia. Quando la Rectaflex entra nella fase di crisi Cimino sceglierà un più sicuro impiego alla Vasca navale, come direttore del Laboratorio di ricerca; tuttavia continuerà a sentirsi partecipe dell’esperienza Rectaflex, affiancando Corsi, gratuitamente, nelle sue attività al Laboratorio speriementale.
Dunque, in quel primo scorcio del 1952, arriva l’annuale appuntamento con la Campionaria di Milano. La Rectaflex espone la 16000 con nuove ottiche e viene presentata in anteprima il nuovo modello Rotor con torretta girevole a tre obiettivi e impugnatura a pistola e il grilletto per lo scatto. La Rotor costa 140.000 lire, mentre le 16000 hanno prezzi ribassati del 10%. Alla fiera c’è anche la Gamma, reduce da alcune vicissitudini in tribunale: la Gamma non può più vendere la sua celebre telemetrica a più obiettivi, ma espone nuove versioni della super economica Perla a ottica fissa.
Alla III Photokina di Colonia la Rectaflex espone, insieme alla Rotor, la preserie 24.500 dal design rinnovato.
La Rotor, racconta un aneddoto popolare, nasce dall’amicizia tra il regista Alberto Lattuada e il fotoreporter Federico Patellani. Lattuada e Patellani si conoscono dagli anni Trenta, dove frequentano entrambi il Politecnico di Milano, uniti dalla comune passione per il cinema. Ai due si aggiunge presto il produttore cinematografico Carlo Ponti, e insieme i tre si trasferiscono a Roma, a Cinecittà. Patellani lavora al settimanale Il Tempo, e arrotonda come fotografo di scena negli Studios di Cinecittà. Tra tutte le macchine fotografiche Patellani non ha dubbi nello scegliere la sua preferita: ovviamente una Rectaflex. Instaura con Corsi un’amicizia assidua, frequentando il Laboratorio sperimentale e fornendo a Corsi continui spunti per migliorare la macchina: Patellani, da fotografo esperto, solleva stimolanti problemi pratici, e Corsi è ben lieto di risolverli.
Quando Patellani rappresenta a Corsi le difficoltà di dover sovente cambiare ottica, perdendo attimi assai preziosi per afferrare lo scatto fuggente, Corsi mette subito all’opera il progettista Ferrari, e nasce così l’intuizione di realizzare una torretta con un cilindro mobile che fa ruotare gli obiettivi. Una foto celeberrima ritrae Gina Lollobrigida ed Humprey Bogard, sul set del film Beat the Devil che impugnano la Rotor di Patellani. Un aneddoto popolare vuole che, agli inizi del 1952 Alberto Lattuada abbia coinvolto Federico Patellani e la sua inseparabile Rectaflex Rotor, nelle riprese del film La Lupa, basato sulla novella di Giovanni Verga. Patellani soggiorna ai Sassi di Matera (dove si gira il film), fotografando nei momenti di pausa questa suggestiva località e la sua varia umanità, e traendone foto giudicate tra i lavori migliori di questo reporter. Scrive Lattuada: “Io sono un uomo che ha ammirato un altro uomo, per come riesce a rubare dalla realtà la forza della bellezza e restituirla con un’immagine”.
Intanto va in commercio la suova serie 25.000. Sul piano tecnico la 25.000 non differisce di molto dalla 16.000: è diversa la taratura dei tempi veloci e si può ora montare il flash a bulbo incandescente Vacu-blitz. La novità invece è il cambio di fornitori per le parti che la Rectaflex non produce direttamente: il nuovo stampo in pressofusione (in precedenza appaltato alla Fonderia di Porta Portese) è ora prodotto dalla Simi di Milano). A Milano si producono ora anche i pentaprismi e le lentine, prodotti dalla Metal-Lux, e, venuta meno la produzione della viscosa, le tendine gommate sono ora appaltate alla Pirelli, sempre di Milano. Delle macchine prodotte in quel periodo il 50% finisce in Francia; e solo il 15% è venduto in Italia.
In quel periodo intanto - siamo nel 1952 – scoppia improvvisa la Guerra di Corea, che vede impegnati al fronte gli Stati Uniti d’America. Il governo americano lancia una gara d’appalto internazionale per l’acquisto di un gran numero di apparecchi fotografici reflex 35 mm, destinati ai cronisti di guerra. Il finanziere Léon Baume segue in prima persona la trattativa con gli statunitensi, e, sorprendentemente, l’affare va subito in porto, con una commessa da ben 30.000 apparecchi. Il contratto prevede 20 invii di macchine, da 1500 pezzi ciascuno, a cadenze regolari di 3 mesi.
Corsi intuisce subito le due insidie nascoste nell’accordo. La prima è che è una commessa in perdita: ogni apparecchio viene venduto a 63.000 lire, un terzo del valore di mercato, da cui deve essere detratta la royaltee di 15.000 lire riservata a Baume. La seconda insidia è che la produzione Rectaflex non è capace di produrre così tante macchine, e destinare l’intera produzione al mercato bellico significa far sparire la Rectaflex dal mercato civile per almeno cinque anni. Nel gennaio 1953 la Rectaflex assume tutto il personale Sara e lancia un’ulteriore campagna di assunzioni all’esterno. Ma la produzione resta ancora insufficiente a rispettare gli accordi contrattuali: basti pensare che nella primavera 1953 la Rectaflex arriva a 300 dipendenti, e non si producono più di 300 macchine al mese.
La Cisa, allettata dalla previsione di rientrare con questa commessa degli investimenti iniziali in Rectaflex, è entusiasta delle abilità di Baume. Inevitabilemente il finanziere viene promosso a co-amministratore delegato Rectaflex, insieme a Corsi.
L’avvocato Corsi mal digerisce questa novità. Lui e Baume hanno due caratteri diversi, persino incompatibili: un sognatore alla ricerca della perfezione, innamorato della sua fabbrica, il primo; un cinico abilissimo mercante alla spasmodica ricerca del profitto il secondo. D’altra parte il successo commerciale da sempre cercato da Corsi non era ancora arrivato, e Baume appariva agli occhi degli amministratori Cisa essere riuscito laddove Corsi aveva fallito, aprendo prospettive di risanamento e riduzione dei debiti insperate. Poco importa che nel frattempo Corsi abbia concluso un onesto accordo con la Davve Instruments Ltd per la distribuzione Rectaflex in Inghilterra: Corsi deve inchinarsi all’abilità del nuovo arrivato.
Inevitabilmente Corsi finisce al margine della vicenda produttiva Rectaflex, sempre più lontano persino dal Laboratorio Sperimentale di via Acqui. Corsi si rifugia spesso da Giorgio Cacchi, amico e titolare del celebre emporio La Casa del Fotocineamatore, dove Baume non mette mai piede. Lì si riuniscono i fedelissimi di Corsi, in compagnia di un cenacolo di artisti del calibro di Marcello Mastroianni, Federico Fellini, Charles Boyer.
Intanto Corsi crea un nuovo modello sperimentale, rivolto ad una clientela d’élite: la Gold, la Rectaflex d’oro. La Gold differisce dalle altre macchine praticamente solo per la doratura dei corpi pressofusi e per le decorazioni in pregiata pelle di lucertola. La prima Gold viene realizzata per il pontefice Pio XII, e reca nel castello lo stemma della Santa Sede. Papa Pacelli si reca personalmente nello stabilimento di Monte delle capre per ricevere il dono, che si dice abbia apprezzato e utilizzato spesso in seguito. In quell’occasione celebra una messa insieme agli operai e benedice l’intero stabilimento.
Ma l’euforia per l’illustre visitatore dura ben poco. In fabbrica la mancanza del capo carismatico comincia a farsi sentire. E si verificano cose fino ad allora mai successe: tensioni sindacali, conflittualità tra i dipendenti, persino atti di manomissione di alcuni macchinari di precisione. Il nuovo personale non è formato a dovere: le prima macchine prodotte sono difettose e necessitano di lunghi interventi di aggiustaggio che la Rectaflex non può permettersi. In breve si capisce che i tempi contrattuali con gli Americani non saranno neanche lontanamente rispettati.
Corsi intanto ottiene dall’azienda il permesso di realizzare altre Gold e di donarle ai potenti del momento. Una è per il Re Farouk d’Egitto; un’altra è per il presidente Cisa Francesco Maria Oddasso; ve ne sono per il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per il presidente degli Stati Uniti Eisenhower e una per Wilson Churchill. Le ultime due sceglie Corsi a chi donarle: una è per l’importatore francese Henry Tieman, suo amico e fedele rivenditore della Rectaflex in Francia; l’ultima Corsi la dona alla Fabbrica Rectaflex, dove viene esposta accanto ad un pannello sinottico con tutti i pezzi che compongono una Rectaflex. Questo dono ha quasi il sapore dell’addio. La fine dell’esperienza Rectaflex è dietro l’angolo.
Arriva la XXXI Fiera Campionaria di Milano, edizione del 1953. La Rectaflex espone la Standard 25.000 insieme alla Rotor. Durante la Fiera Corsi e Baume si intrattengono lungamente con Robert Brockway, distributore americano della Rectaflex e presidente della Director Products. In quell’occasione viene sottoscritto con il distributore americano un accordo per la vendita, sul mercato estero, di una rectaflex a telemetro. Corsi non approva e lo considera quasi un affronto alla sua creatura a visione prismatica, ma Baume, allettato dalle prospettive di un facile guadagno, ha rapidamente ragione delle obiezioni.
Il 1953, nel complesso è un anno di crisi per le vendite delle macchine fotografiche di fascia alta: nei vicini stand delle Officine Galileo (microcamera GaMi 16 con telemetro e correttore di parallasse) e San Giorgio (prototipo Janua modello 803 sincronizzata) ci sono macchine di grande qualità, ma gli ordini di acquisto languono. Vanno un po’ meglio le cose per le macchine di classe economica, con Ferrania, Bencini e Closter che commercializzano apparecchi discretamente sofisticati, ad un quarto del prezzo di una Rectaflex. Vanno bene le cose anche per la Gamma, che l’anno precedente ha interrotto la fabbricazione della telemetrica, e ha saputo riposizionarsi sulla fascia economica del mercato. C’è la Perla A con ottica Stigmar 1:3.5 e il modello Al con ottica Radionar 1:2:8); c’è poi la supereconomica Stella con otturatore Pronto ed ottica Kata 1:3:5/50 mm.
C’è un aneddoto curioso legato a quella fiera. Pare che fra i visitatori vi fossero, in incognito, August e Jacques Piccard, pionieri delle esporazioni dei fondali oceanici, e loro stessi costritturi di sottimarini in grado di resistere alle pressioni delle grandi pronfondità, chiamati batiscafi. Il motivo della loro visita era acquistare una macchina fotografica per il batiscafo Trieste, con cui poco dopo avrebbero esplorato i fondali a largo dell’isola di Ponza. Pare che l’operaio specializzato incaricato del montaggio della macchina nel batiscafo sia stato lo stesso Corsi, ovviamente in incognito. Non si sa quanto vi sia di realtà e quanto di leggenda, fatto sta che, di fronte alle insistenze dell’operaio di accompagnare i Piccard nell’immersioni, Corsi venne riconosciuto. Venne accontentato e tra Corsi e i Piccard nacque una grande e lunga amicizia. Pare dunque che l’estate del 1953 sia stata un’estate magnificamente serena per Corsi - con i Piccard tra i fondali di Ponza, sul batiscafo Trieste -, mentre già da settembre sinistre nubi si addenzano sulla fabbrica di Monte delle Capre.
A settembre 1953 negli stabilimenti Rectaflex sono pronte le prime 3000 macchine per la commessa militare americana, e altrettante sono avviate alla produzione. Si procede con la prima spedizione di 1500 macchine, anche se con un certo ritardo rispetto ai termini contrattuali. Gli Americani sono furibondi, anche perché la guerra è ormai iniziata e anzi si avvia ad una rapida conclusione. Non si sa bene cosa sia avvenuto dall’altro capo del mondo: fonti orali riportano che gli Americani abbiano fatto valere (a buon diritto) una clausola sui tempi di consegna; altre dicono che poi alla fine abbiano pagato ma i soldi siano stati dirottati altrove. La sola certezza è che alla fine i soldi americani, equivalenti a circa 100.000.000 di lire, in Rectaflex non sono mai arrivati. Un breve comunicato annuncia poi il colpo di grazia: con l’elezione del nuovo presidente Eisenhower, la Commissione militare incaricata degli acquisti di guerra è decaduta e con essa è decaduto l’intero appalto, di circa 1.900.000.000 lire.
Viene convocato di corsa un consiglio di amministrazione della Cisa Viscosa: siamo ad inizio marzo 1954. La riunione è turbolenta, e sul banco degli imputati, per aver rallentato la produzione, finisconoBaume e Corsi. Gli amministratori Cisa decidono che l’esperienza Rectaflex è giunta al termine, e che il tutto sarà sancito da un’assemblea straordinaria. Dall’immediato, intanto, la produzione è interrotta e si cercherà di vendere il vendibile. Di quella riunione sopravvivono diversi ricordi. Pare che Baume abbia prudentemente taciuto, mentre invece Corsi, difendendosi come un leone, di fronte alla decisione padronale di interrompere la produzione, abbia minacciato di portare i brevetti in Francia e di continuare a produrre la Rectaflex laggiù. Ma la Direzione ha deciso senza appello.
Vengono licenziati in blocco tutti gli operai addetti alla produzione, salvando, almeno per ora, i soli operai dei reparti Montaggio e Collaudo. Si concorda coi sindacati una buona uscita per gli operai, e le fonti orali riportano che la buona uscita è condizionata al fatto che nulla di quanto avviene debba essere reso noto all’esterno. Fra i giornali economici di quello scorcio di 1954, nessuno fa menzione della vicenda. Anche i negozianti ricevono puntualmente gli ordinativi.
Del resto in magazzino vi sono ancora componenti per realizzare circa 3000 macchine. Léon Baume è incaricato della vendita, al prezzo base di 20.000 lire l’una: il maggior ricavo è il suo, come buona uscita. I listini fieristici di quel periodo riportano paradossalmente che il prezzo di vendita ai dettaglianti non subisce alcuna riduzione.
Non vanno meglio le cose per Corsi: il Laboratorio sperimentale viene ceduto ad una controllata della Viscosa, la Ecom, e lì Corsi dovrà occuparsi di pianificare la ripresa della produzione: la Viscosa non ha minimamente in animo di ricominciare a produrre la Rectaflex; semplicemente, vuole vendere uan fabbrica apparentemente ancora in esercizio, mostrando ai possibili compratori dei piani produttivi credibili. Viene anche nominato un nuovo amministratore delegato, il signor Fabbri, che ha anche la funzione di commissario liquidatore.
Ad aprile 1954 arrivano intanto i tradizionali appuntamenti fieristici di Colonia e di Milano. In Germania nulla traspare della crisi Rectaflex, anche se la parte del leone in quella fiera la fa una macchina telemetrica, la nuova Leica modello M3. Se la rectaflex telemetrica concordata con Robert Brockway fosse stata immessa sul mercato solo qualche mese prima, ne sarebbe senz’altro stata una valida concorrente. A Milano la Rectaflex si limita ad anticipare la serie 30.000 insieme alla Rotor, con una gamma completa di ottiche e accessori. In quell’anno si registra il definitivo sorpasso dei prodotti tedeschi rispetto a quelli italiani: la guerra è ormai alle spalle, e i fotoamatori italiani acquistano in base alla qualità e al prezzo, non più sulla base emotiva del ricordo degli orrori del nazismo. Mantengono buone fette di mercato la Closter, con la sua Princess, e la Ferrania, con la Rondine, Falco S e bionica Elioflex II. Si difende bene anche la gamma, con i vari modelli di Perla e Stella.
Per quanto possa sembrare incredibile, in quel periodo Corsi, sebbene amareggiato per la consapevolezza della fine, è un vulcano di inventiva. Come se volesse sparare tutte insieme le ultime cartucce, sapendo che l’acqua presto bagnerà le polveri. Oppure no, forse non è ancora disposto ad alzare bandiera bianca e spera in un ripensamento della Direzione. Fatto sta che il 1954 sarà ricordato come l’anno delle meraviglie Rectaflex, in cui la tecnologia Rectaflex raggiungerà davvero livelli spettacolari.
Corsi lavora contemporaneamente a tre nuovi brevetti: il nuovo pentaprisma con tetto a doppio spiovente, il meccanismo di esposizione automatica, e un dispositivo speciale chiamato Esaflex. Il nuovo pentaprisma viene presentato ancor prima di essere brevettato, sul numero dell’ottobre 1954 del Progresso fotografico; il giornalista riporta di una presentazione per addetti ai lavori, probabilmente nella Casa del Fotocineamatore, forse persino all’insaputa della Direzione della Viscosa. Il progetto di una Rectaflex con esposizione automatica nasce invece in azienda, da una collaborazione di Corsi con l’ingegner Ferrari. Viene concepito uno speciale preselettore del diaframma, unito ad una nuova ottica con esposimetro al selenio, chiamata “lettore di luce”, che, tramite un indicatore ad ago, dà la corretta impostazione del diaframma. Infine, l’Esaflex è un apparecchio reflex 6 × 6 monobiettivo ad ottica intercambiabile, dotato sia di visione prismatica che telemetrica. L’apparecchio è studiato per avere il magazzino intercambiabile: è una macchina omnibus, in grado di montare qualsiasi accessorio, volendo anche l’otturatore centrale o un visore a periscopio.
Allo stesso tempo Corsi lavora anche al Modello 30.000. Sa che è l’ultimo che uscirà dagli stabilimenti di Monte delle capre e vuole che sia un modello perfetto: sostituisce i leveraggi di carica e riavvolgimento del film, e sostituisce anche i vecchi pulsanti di scatto e di sgancio dell’ottica, con nuovi pulsanti dalla caratteristica forma a fungo.
Non è finita. Con il reporter Federico Patellani Corsi lavora ai modelli Special, dei modelli rectaflex destinati alle applicazioni scientifiche specializzate: Special 24 × 32 e la Rectaflex Silenziosa. La Special 24 × 32 prende il nome dalla dimensione ridotta del fotogramma, richiesto per particolari usi scientifici, come la microfotografia (applicando la macchina ad un microscopio) o la fotografia ospedaliera (per riprendere interventi chirurgici). In tutt’altro campo opera invece la Rectaflex silenziosa. Nasce da un’idea di Patellani ed è pensata per i safari fotografici: viene eliminato il rumoroso rimbalzo dello specchio, che avrebbe messo in fuga le fiere africane, e il corpo macchina è nichelato in nero opaco, per non riflettere la luce del sole. La prestigiosa rivista naturalistica Life ne acquista diversi esemplari.
Intanto, dalla fabbrica di Monte delle capre cominciano finalmente ad uscire le prime macchine rectaflex a telemetro, pattuite un anno prima con il distributore americano Robert Brockway. Ne escono in realtà due diversi modelli, chiamati Recta e la Director-35.
La Recta nasce sul corpo della Rectaflex Standard 30.000, su cui viene montato un grosso mirino con un telemetro speciale con il sistema di messa a fuoco a doppia finestra brevettato da Corsi nel 1951. Diversa è invece la storia della Director-35, che è in realta una nuova e diversa macchina. Monta anch’essa un telemetro con messa a fuoco su doppia finestra, ma le analogie finiscono qui. Funziona con una doppia tendina metallica rigida (non autoavvolgente), il ritardatore dei tempi èspostato, il caricamento della pellicola è frontale. Altre modifiche sono nella leva di carica curva, e una diversa collocazione del bottone dei tempi veloci.
Nel luglio del 1954 intanto, sulla scia delle esplorazioni scientifiche condotte l’anno precedente dai Piccard sul batiscafo trieste, gli alpinisti Achille Compagnoni e Lino Lacedelli commissionano alla Rectaflex due macchine, da portare con sé nella conquista del monte K2. Il capo del Montaggio, Roberto Germani, prepara due apparecchi in grado di affrontare le rigide temperature himalayane. Una modifica su tutte: l’olio di ingrassaggio sostituito con la polvere di grafite. Pare tuttavia, che le macchine, spedite per treno, non siano mai arrivate a destinazione, e che Compagnoni e Lacedelli, per le foto, abbiano usato una vecchia macchina a soffietto della Zeiss, la sola che siano stati in grado di reperire in uno sperduto emporio himalayano.
E questi sono davvero gli ultimi fuochi. La riserva di componenti giacente in magazzino termina nei primi giorni del 1955. Il capomontaggio Germani si dà da fare in tutte le maniere per montare i pezzi residui fino ad assemblarne qualcosa, ma non è proprio più possibile montare alcuna macchina. Le fonti aneddotiche riportano che a questo punto vengono mandati a casa anche gli operai del Montaggio e i capireparto.
I più meritevoli trovano con facilità impiego in altre aziende del gruppo: Alfredo Ferrari finisce alla Ecom; il meccanico Remo Nannini va ad occuparsi della riparazione delle macchine in garanzia al Servizio Dopo vendita. L’ingegner Cimino trova con facilità un posto alla Vasca navale.
Altri si mettono in proprio. Gli ingegneri Franco Sigismondi e Giorgio Marini, fondano la Staer, e assumono il tecnico Angelo Antonelli. Emilio Palamidessi, Manlio Valenzi e Roberto Germani aprono un’officina di riparazioni di apparecchi fotografici in via Cavour.
Altri infine, si impiegano alla concorrenza, per non disperdere il patrimonio di saperi maturati al Monte delle capre. Alcuni finiscono in Gamma, altri in Closter. Infine altri, tornano a fare i meccanici, in officine generiche.
Lo stabilimento di Monte delle Capre, vuoto di operai e di componenti, non viene più a questo punto vigilato. Le fonti aneddotiche riportano che in fabbrica regna il disordine, e che quanlunque operaio abbia avuto a sentirsi indignato per l’avvenuto, si sia sentito moralmente legittimato a portarsi via un pezzo della fabbrica, a titolo di risarcimento morale.
Interviene la Proprietà, che dà ordine di vendere nella maniera più rapida possibile anche i pezzi non assemblati. Un aneddoto da più parti confermato racconta che Corsi si sia a questo punto fatto avanti per acquistare tutto in blocco, edificio e attrezzature produttive comprese, con l’intenzione di riprendere la produzione e iniziare da capo una nuova avventura. La Direzione ben conosce il genio creativo di Corsi, e sa che Corsi, con l’aiuto della fortuna, avrebbe persino potuto farcela. Soprattutto, la Direzione sa che la crisi Rectaflex non è derivata da una crisi del prodotto, che può ormai definirsi perfetto, ma da strategie commerciali errate. La Direzione gli chiede una somma spropositata, che si dice sia stata di 50.000.000 di lire. Eppure Corsi è pronto a pagarla. Si rivolge alle banche e cerca finanziatori: non ne trova alcuno.
Alla fine la spunta ancora una volta Léon Baume, che si fa consegnare le rimanenze, dietro la promessa di trovare un compratore per rimanenze, macchinari e mura della fabbrica. Da questo momento in poi Baume esce di fatto di scena, e diventa importatore in Italia della casa giapponese Konika.
Un aneddoto vuole che alla fine Baume un compratore per le rimanenze l’abbia trovato: Giorgio Cacchi della casa del fotocineamatore, insieme al ragazzo di bottega Tonino Arienzo e alcuni amici fedelissimi di Corsi, che a bordo delle loro automobili hanno dato vita ad un mesto convoglio di auto cariche di materiali obsoleti, qualche montatura di ottiche, alcuni accessori e ben 200 torrette Rotor inutilizzabili. Cacchi continuò a lungo ad esporre nel suo negozio alcuni cimeli della Rectaflex, tra cui il pannello della Rectaflex Gold con quasi tutti i pezzi della macchina scomposta, ovviamente senza le parti in oro. A quanto risulta, l’ultima rectaflex disponibile sul mercato fu venduta da Cacchi nel 1960, ad un turista accorso a Roma in occasione dei Giochi Olimpici.
Finita la produzione, negli uffici della Cisa Viscosa di Rectaflex si continua ancora ad occuparsi. Perché i muri della fabbrica non sono stati ancora venduti. Viene costituita una nuova società, la Rectaflex International, di cui Léon Baume è azionista. L’obiettivo non è riprendere la produzione, ma dare l’idea ad un potenziale compratore disposto ad investire tempo e mezzi che riprendere la produzione è possibile. Proprio per questo vengono acquistati degli spazi pubblicitari nelle riviste di settore. Alla Fiera Campionaria di Milano del 1955 la nuova società non ha uno stand, ma ci sono, si dice, diversi procuratori pronti a vedere ciò che resta al miglior offerente. Il listino prezzi di quel periodo mostra ancora la 25.000 vecchio modello, a prezzi invariati. Corsi, nel Laboratorio Sperimentale, prepara intanto un nuovo modello: la 40.000, che sul corpo della 30.000 monta un nuovo prisma più luminoso, uno specchio più grande, insomma tutto in formato maxi. Vengono realizzati i primi prototipi.
Quand’ecco che all’improvviso, siamo alla fine del 1955, il pontenziale compratore sbuca fuori, e viene da lontano. La Rectaflex annovera, tra i fornitori internazionali, la Kamerabau Anstalt, con sede a Vaduz nel Principato del Liechtenstein, di proprietà del principe Francesco Giuseppe II (1906-1989). Baume ha inviato nel piccolo principato ai margini della Svizzera tedesca alcune 30.000, assicurando che si può produrre con sole 8 ore di lavoro.
Il Principe invia a Roma il suo uomo di fiducia, l’ingegner Adolf Gasser, per valutare l’affare. Gasser è un uomo onesto, e dotato di grande esperienza. Proprio per questo la visita negli stabilimenti di Monte delle Capre si dimostra assai deludente e il tecnico, di ritorno in Liechtenstein sconsiglia al Principe l’acquisto dell’intera fabbrica, limitandosi ai brevetti.
Eppure l’accordo va in porto, negli ultimi mesi del 1956, e vede la partnership tra Cisa, Snia e la Contina AG, altra fabbrica di proprietà del Principe che produce calcolatrici tascabili e cineprese da 8 mm. Viene quindi creata una nuova società, la Établissements Rectaflex International Vaduz, della quale è azionista Léon Baume. La produzione si svolgerà nella fabbrica Contina, nella cittadina di Mauren. L’ingegner Gasser è a capo della progettazione, che prende il nome di 18.400, e della produzione. Il direttore di fabbrica è il signor Frick, mentre il Reparto Montaggio è affidato al signor Postner.
Da subito Gasser e Postner si mettono le mani nei capelli. Lamentano la mancanza di documentazione tecnica, e in particolare pare che manchi persino l’elenco dei componenti. Di ogni pezzo poi, esistono più versioni, senza sapere che pesci prendere. I due ingegneri decidono di richiamare in servizio, da Roma, Alfredo Ferrari, assunto ufficialmente nel settembre 1957. Poco dopo viene richiamato in servizio anche il meccanico Antonio Fasciani, con l’incarico di formare il personale del reparto Montaggio.
Gli ingegneri transalpini decidono di revisionare, pezzo per pezzo, tutta la componentistica, fresando i pezzi obsoleti, o scartandoli se necessario. E c’è un nuovo problema: la Contina, che non è in grado di produrre da sé tutti i componenti, deve ricorrere a fornitori esterni, facendo lievitare i costi. Alla fine del 1957 la linea di montaggio per la produzione in serie risulta ancora lontanissima. Sorgono degli attriti, e si evidenziano limpidamente le differenze di mentalità tra italiani e transalpini: geniali risolutori di imprevisti i primi; tecnici precisi che perdono le staffe ogni volta che un pezzo va fuori tolleranza i secondi. Considerando che i pezzi fuori tolleranza non sono l’eccezione, ma la regola, alla Contina sono tutti seriamente preoccupati. Fasciani propone una soluzione d’emergenza: riportare la produzione a Roma raccattando le vecchie maestranze del Trullo. La proposta viene respinta con sdegno.
I transalpini, giunti ormai alla disperazione, contro il parere dei soci italiani, richiamano in servizio, da Roma, Telemaco Corsi. Corsi, racconta la memoria popolare, pare che abbia detto sì all’istante, mettendo da parte tutte le amarezze. Porta con sé il veterano Roberto Germani, già responsabile del Servizio Dopovendita. Il miracolo riesce: le prime macchine made in Liechtenstein vengono montate. E funzionano. Pare anche che Corsi si sia subito ben inteso con le maestranze transalpine, nonostante le barriere linguistiche, ben felice di respirare aria di fabbrica a pieni polmoni.
Le macchine modello 40.000 arrivano alla produzione in preserie. C’è il comando automatico della preselezione del diaframma, e viene montato un nuovo obiettivo. I primi collaudi danno però una serie di inconvenienti, soprattutto nella velocità dei tempi. Corsi chiede che vengano sostituiti i comandi delle tendine con nuovi comandi, migliorati. Baume si oppone, il Principe del Liechtenstein non sa come schierarsi. L’ingegner Gasser studia la questione, e individua che il problema può essere risolto modificando i corpi di alluminio di futura fabbricazione. Alla fine, siamo all’inizio del 1958, la Rectaflex transalpina pare giunta a livelli qualitativi soddisfacenti. Viene approvato il piano di produzione. Dopo continui adattamenti e suggerimenti, all’inizio del 1958 le prime macchine cominciano a funzionare a dovere e sembra che si sia pronti ad iniziare la produzione in serie. Il piano di produzione prevede la realizzazione di 45 macchine al giorno.
L’ingegner Gasser chiede l’assunzione di nuove maestranze; gli azionisti frenano, fra un rinvio e l’altro. Corsi intanto perfeziona ancora la macchina, e chiede al Principe di installare sulla 40.000 l’esposimetro al selenio incorporato nel prisma. Nella silenziosa fabbrica Contina, si trasferisce in breve tutto il caos di una produzione italiana. Il tempo passa, i costi fissi scorrono, e della produzione in serie non c’è neanche l’ombra. Fra gli azionisti, nel 1959, si fa strada l’idea di essere fuori tempo massimo, anche perché il mercato di quegli anni vede affermarsi macchine giapponesi con tecnologie diversi, costi inferiori, in grado di offrire al fotoamatore scatti ugualmente belli.
A questo punto le informazioni si fanno imprecise. La produzione va avanti, tra arresti e ripartenze, ma nessuno crede seriamente in un successo. Pare che alla fine di macchine Rectaflex 40.000 ne siano stati prodotti 2500 esemplari. Pare anche che per la disperazione siano stati gettati tutti nel fiume Reno, per far capire al Principe che nel Principato transalpino non era possibile produrre all’italiana. Fatto sta che la storia si trascina ancora per cinque anni, finché la società viene rilevata dalla Hilti, interessata probabilmente ad impedire che i brevetti fossero acquistati da società concorrenti, piuttosto che proseguire la produzione.