La Pascoli è una scuola elementare comunale, situata nell’ex complesso industriale Mira Lanza.
Nel febbraio 1924 il Comune di Roma acquista dalla Fabbrica di candele Mira l’Area Uffici del suo stabilimento romano, con l’intenzione di aprirvi una scuola. Si tratta di un elegante villino a pianta quadrata a tre piani con ingresso da una doppia rampa di scale (in origine: Villino della Direzione), intorno al quale sorge un corpo più basso con pianta a ferro di cavallo disposto per tre lati intorno al Villino (in origine: Alloggi del personale direttivo e gli Uffici della dirigenza). Entrambi gli edifici risalgono al 1918, su progetto di Costantino Moretti. La nuova scuola ha il nome di Scuola rurale Magliana, e in seguito quello di Scuola Giovanni Pascoli. Alla Pascoli insegna, dal 1940 al 1975, il poeta Giorgio Caproni.
Corre l’anno 1927. Gli alunni della Pascoli eccellono nella lettura, nel far di conto, ma soprattutto nell’igiene personale, con cui si proteggono da virus e batteri.
L’insegnante Fedra Angelelli li iscrive alle gare d’igiene del Governatorato di Roma. Con grande stupore della maestra, la sua classe IV si piazza prima su tutta Roma.
Tempo dopo il Governatore di Roma, Sua Eccellenza il Principe Francesco Boncompagni Ludovisi, scrive alla Maestra Angelilli, e le conferisce uno speciale diploma in igiene (su una pergamena di 50 × 34 cm, con firma autografa del governatore), che fa oggi parte della Collezione di Riva Portuense.
Il testo, sormontato da tre corone d’alloro, il fascio littorio e l’epigrafe S.P.Q.R., recita: «Gare d’Igiene anno scolastico 1927-28. Diploma di I° premio conferito all’insegnante sig. ra Angelelli Fedra della classe IV - Scuola Magliana, distintasi nella gara fra le scuole elementari rurali del Governatorato. Dal Campidoglio, il 21 aprile 1929, anno VII. Il Governatore Francesco Boncompagni Ludovisi».
Giorgio Caproni, maestro elementare, poeta e critico letterario, nasce il 7 gennaio 1912 a Livorno e trascorre l’infanzia a Genova. La famiglia, di origini modeste, lo incoraggia agli studi musicali e alla lettura. Conosce i nuovi poeti dell’epoca: Ungaretti, Barbaro e soprattutto Montale, rimanendo colpito dagli Ossi di seppia.
Scrive versi suoi, che dal 1933 pubblica su riviste letterarie. Conseguita l’abilitazione magistrale, dal 1935 insegna alla scuola elementare di Loco di Rovegno, in Val Trebbia. Pubblica il volumetto Come un’allegoria e nel 1938 Ballo a Fontanigorda, ispirato dall’incontro con la sua futura sposa, Rosa Rettagliata, cui si rivolge con il nome letterario di Rina.
Con lei si trasferisce a Roma, dove prende servizio come insegnante ordinario alla Scuola Pascoli. Il soggiorno romano dura solo quattro mesi. Il richiamo alle armi e lo scoppio della Seconda guerra mondiale lo portano sul Fronte occidentale. Dopo l’8 settembre 1943 Caproni entra nella Resistenza, nella brigata partigiana della Val Trebbia, maturando l’adesione al Partito Socialista.
Dopo la Liberazione riprende ad insegnare a Roma, nelle scuole Pascoli e Crispi. Affronta un problema immediato: i ragazzi non vanno a scuola. Decide di andarli a cercare. Su un registro del 1946 annota con grafia nervosa: «Accordàtomi con il Signor Direttore ho fatto un giro nelle case dei recidivi e ora le frequenze sono tornate alla normalità». L’abitudine di scrivere cronache scolastiche lo accompagnerà per tutta la carriera: perplessità e soddisfazioni, ostacoli burocratici, ritardi, tutto con un’umanità profondissima e lucida.
Un «maestro senza metodo»
Negli Anni Cinquanta Caproni collabora a ritmi frenetici con La Nazione, L’Avanti, Mondo operaio, Il Punto, La fiera Letteraria. Traduce dal francese il Tempo ritrovato di Proust, cui seguono altri classici: Fiori del male di Baudelaire, Morte a credito di Céline, Bel-ami di Maupassant. Conosce scrittori e intellettuali - tra cui Pratolini, Cassola e Fortini - ma si tiene alla larga dai salotti letterari. Rifiuta opportunità di comodo disimpegno, convinto della dignità del ruolo di maestro. Su un registro del 1952 annota soddisfatto: «È che a furia di far parlare questi marmocchi, facendo finta di non insegnare, sono in parte riuscito a far loro coordinare le idee». Il 1959 è l’anno de Il passaggio di Enea, in cui ordina i temi ricorrenti - Livorno, Genova, il viaggio, la madre, la guerra, la Resistenza - con perizia metrica e chiarezza di sentimenti, mescolando lingua popolare e lingua colta, raccontando l’attaccamento sofferto al quotidiano e all’epica casalinga.
Continua ad insegnare. I vecchi scolari ricordano il Trenino Rivarossi al centro di un’aula sgombrata dai banchi, i concertini di violino, gli schizzi sulla lavagna per invogliare al disegno, ma anche le bocciature sdegnose ai disegni stereotipati o di maniera. Caproni sa di essere amato e rispettato. E ricambia con garbo e sorridente comprensione. Nel 1961 scrive: «Son tutti di 8 anni. Mi salgono sulle spalle, sulle ginocchia. Finiranno col saltarmi anche in testa, come i piccioni di Piazza Grande. Sono morto di fatica ma mi trovo bene tra i piccioni! ».
Nel 1965 pubblica Congedo del viaggiatore cerimonioso e poi Terzo libro. Passa a una metrica spezzata, esclamativa, con una sintassi ansiosa che riflette la scoperta dall’assurdità dell’esistenza. È di questi anni l’amicizia con il giovane collega Pier Paolo Pasolini.
Nel frattempo cerca la via per far crescere umanamente e intellettualmente i suoi scolari, senza ricette predefinite, definendosi un «maestro senza metodo». Incoraggia la spontaneità, educa alla curiosità e allo stupore, inventa le lezioni fuori programma, fa fare le ricerche nella Bibliotechina scolastica, organizza con Pasolini la visita alla fabbrica Ferrobedò. Soprattutto, apre un varco alla poesia, in una didattica ancora basata sull’apprendimento mnemonico. La burocrazia scolastica, da sempre sospettosa dell’anticonformismo, lo guarda con diffidenza. Caproni ricorda: «Ero la disperazione dei direttori didattici!».
Dopo le pensione, il successo
Dopo il pensionamento arriva il grande successo di pubblico, con Il muro di terra, del 1975. Seguono i volumetti Erba francese e Franco cacciatore, fino all’ultimo libro, il Conte di Kevenhuller del 1986. L’ultima produzione, segnata da un’aspra solitudine, accenna ad una religiosità senza fede. Caproni scrive: «Ah, mio dio. Mio Dio. Perché non esisti?». Muore il 22 gennaio 1990, lasciando Res amissa alla pubblicazione postuma.
Il Fondo Caproni (composto di manoscritti, appunti, e la biblioteca personale del poeta), sono oggi conservati nella Biblioteca Marconi.