La Tomba dei Geni danzanti è un piccolo sepolcro a camera, decorato a stucco con una trentina di figurette mitologiche diverse, tutte nell’atto di correre e danzare.
La volta è organizzata secondo un originale impianto geometrico, nel quale si inseriscono, in medaglioni circolari, le rappresentazioni di divinità minori: il genio alato, il satiro, la ninfa in nudità, la ninfa con le vesti mosse dal vento, i cupidini (putti alati) alla guida di una biga, i dioscuri al galoppo dei loro destrieri, i genii a cavallo di un ariete, e infine la tigre, il caprone, il grifone. La parete frontale presenta due cupidini in volo che sorreggono un festone vegetale. Il sepolcro è datato tra II e III sec. d.C.; è scavato nel tufo e presenta nicchie per le urne cinerarie e fosse per l’inumazione. È stato scoperto nel 1951, intagliato e trasportato al Museo Nazionale Romano.
Il sepolcro presenta sia cremazioni che inumazioni ma non trasmette informazioni dirette sugli occupanti. L’osservazione ci permette di immaginare un piccolo nucleo familiare (lo attestano le ridotte dimensioni: appena cinque metri quadri), di condizioni economiche agiate (lo attesta la presenza di costose decorazioni), colpito da un lutto in qualche misura previsto e facilmente elaborato, avvenuto tra la metà del II sec. d.C. e gli inizi del III.
Quest’ultimo elemento si desume dalla modalità di svolgimento delle opere funerarie. Esse sono state probabilmente curate da almeno un paio di prossimi congiunti, desiderosi di archiviare la pratica in maniera dignitosa ma sbrigativa, con una certa organizzazione e suddivisione dei compiti. La parte di lavori relativa alla parete frontale e alla volta è adempiuta con grande solerzia, mentre le pareti restanti sono solo preparate per le decorazioni ma sono rimaste spoglie. Possiamo immaginare che il congiunto incaricato di questa parte del lavoro - e questo può accadere in ogni buona famiglia -, abbia incontrato qualche difficoltà, rimandandone l’adempimento a tempi migliori.
La volta è strutturata secondo un impianto geometrico estremamente ingegnoso, basato sull’intersezione di cerchi e quadrati, che permette l’inserimento alternato, come in una scacchiera, di una trentina di decorazioni modulari giustapposte di uguale dimensione.
Ciascun medaglione è finemente decorato in stucco color bianco-avorio. La metà di essi riporta un chiché, cioè una decorazione ripetitiva composta da un fiorellino al centro di un quadrato dai lati concavi, a sua volta iscritto in un cerchio con alle estremità un giglio stilizzato. L’altra metà dei medaglioni riporta invece dei motivi figurativi, l’uno diverso dall’altro, tutti accomunati dal tema della danza della vita, con il messaggio consolatorio del perpetuo rinnovarsi delle forme e delle energie vitali. È stato osservato che - per un particolare gioco della geometria - le quattro concavità dei quadrati, poste perpendicolarmente tra di loro, formano a loro volta degli altri cerchi.
Il più noto e accurato tra i medaglioni è il genio alato danzante (una figuretta dal morbido panneggio in movimento, e dai lunghi capelli). Insieme al genio alato danzano una serie di altre divinità: un satiro, una ninfa in nudità, un’altra ninfa (o comunque una figura femminile non meglio identificata) dalle delicate vesti mosse dal vento. Vi sono inoltre tutta una serie di personaggi in corsa: i cupidini (putti alati) alla guida di una biga, i dioscuri al galoppo dei rispettivi cavalli, dei genii che cavalcano un ariete. E infine tre animali dell’iconografia tradizionale, esotica o immaginaria: il caprone, la tigre, il grifone.
Il tema della danza della vita prosegue anche sulla parete frontale, dove sono rappresentati altri due cupidini, anch’essi in stucco, che sostengono in volo due festoni vegetali. In piccolo, al di sotto di essi, è raffigurata una siringa, sorta di flauto a canne tipico del mondo rurale.
La tomba è stata rinvenuta nel 1951, a poca distanza dalla Tomba dei Campi Elisi e, come questa, è stata intagliata, trasportata al Museo Nazionale Romano e restaurata nel 2008.