Il Museo Nazionale Romano conserva un nobile sarcofago in marmo, rinvenuto nel Drugstore Portuense nel 1966, raffigurante la divinità esotica Σελήνη (Selene).
Durante le indagini sul Colombario Portuense (Tomba D), viene rinvenuta un cassone marmoreo, privo di coperchio. Esso è databile ai primi decenni del III secolo d.C. in base alla moda delle decorazioni a scanalature ondulate (lenos o strigili). Su un lato è scolpito in un occhiello (clipeo) il busto in bassorilievo di Selene, con gli attributi della torcia accesa e del crescente. Selene rappresenta il perpetuo alternarsi del giorno e della notte, con il fratello-amante Helios, rappresentato sull’altro lato del sarcofago in un altro clipeo. Nel sarcofago gli archeologi hanno rinvenuto lo scheletro di una bimba di dieci anni con il suo corredo: un braccialetto in oro e due orecchini, anch’essi in oro.
Σελήνη è una divinità lunare importata dalla Grecia a Roma nel II sec. d.C., non assimilabile a Diana, la divinità lunare romana del pantheon classico.
Per entrambe le culture si tratta della personificazione della luna. Ma se per i Romani Diana è soprattutto la dea della caccia, per i greci ha tratti propri, narrati nella Teogonia di Esiodo (371): dea della fecondità, della morte e della rinascista, del perpetuo rigenerarsi delle cose. Selene è la dea delle fasi e dei cicli, ma è anche la dea indulgente delle eccezioni a quanto la natura ha prestabilito. Quando un pagano di epoca imperiale doveva chiedere una cosa impossibile (e a Roma ogni cosa possibile aveva il suo nume tutelare) non rimaneva altro che dirlo alla Luna. Fra tutte le cose impossibili vi erano soprattutto gli amori proibiti. Il culto lunare arriva (o ritorna) quindi a Roma in forme del tutto nuove, come un culto esotico e seducente, mai provato prima.
Selene è una donna matura, ancora bellissima, dal viso incredibilmente pallido, tanto da far impallidire al suo passaggio anche le stelle. Il suo attributo, una torcia dalla fiamma d’argento, le riflette sul viso, mentre un secondo attributo, un fermaglio a forma di luna crescente, le raccoglie ordinatamente i capelli. È raffigurata con lunghe vesti ariose, su una biga d’argento tirata da una coppia di candidi buoi, nell’atto di inseguire senza riuscirvi la quadriga d’oro del fratello Ἥλιος (Helios), personificazione del sole.
A Selene si attribuiscono quattro amori - tutti diversi, importanti e tutti proibiti -, corrispondenti ognuno ad una fase della vita, crescente o calante che sia: quello giovanile (ed incestuoso) con il fratello che diventerà l’amore di sempre; quello rubato da Pan con la violenza che, trasformatosi in passione, lascerà il posto al rimpianto; quello effimero con il maturo Zeus che si dimenticherà presto di lei; e infine quello fulmineo e terribile (perché associato al sonno e alla morte) con il giovane figlio di Zeus, Endimione.
Helios è il fratello di Selene, ed entrambi sono figli del titano Iperione e di sua sorella Theia e hanno una sorella minore: Eos (l’aurora). È rappresentato alla guida della quadriga d’oro, tirata da cavalli che sputano fuoco dalle narici. Il carro sorge ogni mattina dal mare e traina l’astro d’oro (il sole) nel cielo, da est a ovest. Dall’alto della sua posizione, Helios vede tutto: non c’è accadimento umano che gli sia sconosciuto, sempre che avvenga alla luce del sole. Per questo i Romani, nei giuramenti, sono spesso soliti invocarlo a testimone: ancora oggi si dice «alla luce del sole» per indicare un fatto incontrovertibile. Al termine della sua giornata, al tramonto, Helios adagia la sua quadriga sull’orizzonte marino, proprio mentre la biga di Selene dal mare è in procinto di iniziare la corsa nel cielo notturno, portando con sé al traino l’astro d’argento (la luna). In questi fugaci istanti i due fratelli, secondo il mito, si incontrano e si amano in gran segreto.
Con l’irsuto, greve e oscuro, indesiderabile dio Pan Selene ha una passione travolgente e rubata. Alla dea, romantica e radiosa, che non lo degna della minima attenzione, Pan prepara un inganno, rendendosi invisibile ai suoi occhi ricoprendosi con il vello di una pecora bianca. Quello che avviene dopo lo lasciamo alle parole di Karoly Kerenyi: «Nascosto il pelo nerastro sotto il vello di una bianca pecora, ha potuto avvicinarla convincendola a salire sulla sua groppa per poi goderla, ormai consenziente». Selene dunque, oltre al suo simile (Helios, la luce solare) ama anche il suo contrario (Pan, l’oscurità e le tenebre), di cui accetta l’abbraccio avvolgente nella notte. Si dice che Selene abbia perdonato la brutalità di Pan, e che questi le abbia fatto il dono riparatorio della pariglia di candidi buoi che trainano il suo carro nella notte, per poi sparire per sempre dalla vista dell’amata.
A Selene si attribuisce anche una amore con Zeus, dalla quale nascono Pandia ed Erse (la rugiada). È l’amore della maturità, per un amante farfallone che dopo averla avuta si dimentica presto di lei.
E quando Selene, lasciato il padre, incontra il figlio Endimione, giovane e bellissimo, l’amore è fulmineo. Il mito riferisce che Selene scorge la prima volta Endimione addormentato, in una grotta del Monte Latmo, in Asia Minore. Non sopportando l’idea di non potersi avvicinare all’amante giovanissimo se non mentre dorme, perché da sveglio probabilmente la respingerebbe, Selene si siede accanto a lui nella notte, lo bacia sulle palpebre e da allora Endimione cade in un sonno eterno, un torpore simile alla morte, nel quale Selene può ammirarlo e baciarlo, con bramosia e crudeltà insieme. Da Selene e Endimione nasceranno ben cinquanta figlie femmine.
Vuole il mito che, se Zeus l’ha dimenticata e Pan non osa più avvicinarla, Selene continua a incontrare Helios ad ogni tramonto. Per tre giorni al mese però, durante la luna nuova, Selene scompare alla vista di chiunque: si reca di nascosto a far visita ad Endimione.